AUTONOMIA E RICORSI: IL TAR DA’ RAGIONE AI COMUNI. ILLEGITTIMO IL FEDERALISMO FINORA APPLICATO
Il 15 febbraio 2019 il premier Giuseppe Conte ha sottoscritto con il governatore del Veneto Luca Zaia una intesa sulla scia di quella firmata un anno addietro con Gentiloni sulla richiesta di autonomia.
La parte generica del testo è reperibile sul sito http://www.affariregionali.gov.it/media/433198/intesa-con-regione-veneto-parte-generale-concordata.pdf.
Nel testo di preintesa sottoscritto da Conte, sono trattate le richieste fatte dalla regione e non ancora accolte o definite. Insomma l’argomento non è chiuso e l’allarme non rientra. Anche le ultime dichiarazioni di Giorgetti rese il 22 maggio 2019 in audizione nella Commissione Bicamerale secondo cui i LEP “non necessariamente” vanno fissasti prima di assegnare le funzioni aggiuntive alle Regioni e che quindi alle Regioni continueranno ad essere assegnate le risorse in base alla spesa storica in attesa dei LEP, sono di allarme. Avrebbe inoltre dichiarato che “la sanità di serie A e di serie B sta proprio nel difetto dello Stato di non avere fatto i livelli essenziali delle prestazioni”. Ma come? Nella sanità ci sono i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza”. Che quindi non funzionano e forse vanno ridefiniti? Comunque sia, Giorgetti stesso ammette che vi è una sanità di serie A e una di serie B e questo è quanto avverrebbe con la scuola inevitabilmente con la regionalizzazione. Abbiamo quindi purtroppo un triste precedente nella sanità per stessa ammissione di colui che a breve dovrebbe fare il Ministro dell’Economia ed è colui che maggiormente sta facendo pressione per l’attuazione dell’autonomia. Ancor di più se dalla sua ascesa al potere si misura il suo potere “contrattuale” e cioè da presidente della Commissione per l’Attuazione del Federalismo Fiscale sotto il Governo Gentiloni, a Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio a Ministro dell’Economia sotto il Governo Conte [recente la notizia che dovrebbe sostituire Tria], non si potrà certo star tranquilli. È doveroso quindi fare qualche richiamo a questo testo, simile a quello firmato da Conte con Attilio Fontana, governatore della Lombardia reperibile alla pagina http://www.affariregionali.gov.it/media/433199/intesa-con-regione-lombardia-parte-generale-concordata.pdf (20 le materie richieste, in primis Norme generali sull’istruzione ed Istruzione).
Diversa la situazione in Emilia Romagna, nella cui Intesa le materie richieste sono 15, reperibile sul sito http://www.affariregionali.gov.it/media/433197/intesa-con-regione-emilia-romagna-parte-generale-concordata.pdf.
Sul sito http://www.affariregionali.gov.it/attivita/aree-tematiche/autonomia-differenziata/autonomia-differenziata-articolo-116-iii-comma-della-costituzione/ viene spiegato che:
“I testi che pubblichiamo riguardano la parte generale delle bozze di intesa con le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Tali testi sono quelli che hanno raggiunto un accordo di massima con il Ministero dell’Economia e delle finanze e riguardano principalmente il sistema di finanziamento dell’Intesa. Detto schema sarà quello adottato per ogni altra regione che chiederà l’autonomia”.
Il Titolo I del testo prevede l’istituzione di una Commissione Paritetica fra Stato e Regione Veneto (uguale per Lombardia ed Emilia) composta da nove rappresentanti designati direttamente dal Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie [la leghista Erika Stefani] e nove rappresentanti designati dalla Giunta regionale del Veneto. Questa Commissione dovrebbe determinare le modalità per l’attribuzione delle “risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all’esercizio di cui al Titolo II” (le materie attribuite alla Regione Veneto).
Viene specificato “dall’applicazione della presente intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Bene e allora da dove verranno i fondi per gestire le 23 materie di cui chiedono la competenza esclusiva? Il comma 4 dell’art. 5-risorse finanziarie dell’intesa in oggetto prevede che: “l’eventuale variazione di gettito maturato nel territorio della Regione dei tributi compartecipati o oggetto di aliquota riservata rispetto alla spesa sostenuta dallo stato nella Regione (…) è di competenza della Regione”.
Faccio parte oltre che dei PSP anche di una associazione meridionalista “Osservatorio delle due Sicilie” che ha tra i suoi scopi la revisione storica e la comprensione della Questione Meridionale. Come associazione abbiamo presentato i primi di dicembre 2018 il libro di Marco Esposito “Zero al Sud” da cui è scaturito il processo diffuso velocemente di ricorso contro l’applicazione perversa del federalismo fiscale. Perché il federalismo di fatto già lo stanno applicando ma in maniera tale da pesare enormemente sulle regioni del Sud senza che queste quasi se ne rendano conto. Si tratta della spartizione anomala e illegittima del Fondo Perequativo per i comuni, o Fondo di Solidarietà [istituito con il decreto legislativo n. 23 del 2011, attuativo della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale]. Questo Fondo è alimentato direttamente dai soldi dei comuni stessi ed è circa di due miliardi. È stato il libro-denuncia di Marco Esposito a smascherare in un certo senso quello che sta accadendo senza quasi reazione delle “vittime”. Il primo comune italiano ad avere dichiarato che avrebbe fatto ricorso è stato il calabrese di Cinquefrondi con il sindaco Michele Conia che ha fatto da apripista. Il ricorso è stato presentato da circa 70 comuni del Sud Italia. Cinquefrondi è stato il solo in Calabria, nonostante una ventina avevano dimostrato l’intenzione di farlo. Il ricorso, i cui termini sono scaduti il 17 maggio, era contro l’illegittima spartizione del Fondo Perequativo a vantaggio dei Comuni del Nord. Un esempio per tutti: a Reggio Calabria per l’infanzia vengono spesi 19 euro a bambino mentre a Trento 2.450 (Istat 2017). Altro esempio a Torino si spendono 51 milioni per gli asili nido e a Napoli 16; per l’istruzione in generale 129 milioni a Torino e 55 a Napoli.
Eppure fra i decreti attuativi della 107 vi è il n. 65, quello sul sistema integrato di istruzione 0-6, con l’ «obbiettivo di escludere i servizi educativi per l’infanzia dai servizi pubblici a domanda individuale» e di «raggiungere almeno il 33% di copertura della popolazione sotto i tre anni di età a livello nazionale» che è quello che “chiede l’Europa” dal 2010. Ebbene intanto l’inganno nel decreto era che si precisava che nelle priorità di spesa si privilegiavano i Comuni privi o carenti di scuole dell’infanzia! Che ricordiamo riguarda i bambini da tre a sei anni, quindi esclude la fascia 0-3. E ricordiamo che la fascia 3-6 è già coperta a livello nazionale per il 94%, quindi già oltre il 90% fissato dall’Europa, mentre quella 0-3 è al 12%! Ma poi si scopre pure che dei 209 i milioni di euro erogati dal MIUR per l’anno 2017, 40 sono stati destinati alla Lombardia.
Ad esempio la Delibera di Giunta regionale della Calabria del 22-03-2018 accettava con rassegnazione 4.843.000 euro per gli asili nido di tutta la regione precisando che: “Il riparto delle risorse statali destinate alla Regione Calabria per l’anno 2017, è effettuato sulla base dell’offerta dei servizi per la prima infanzia presente in ciascun territorio”. Ergo: se NON SONO PRESENTI VUOL DIRE CHE NON SERVONO! Questo perché ci si basa sul DATO STORICO e non sull’effettivo bisogno in base alla popolazione.
Di contro notizia del 4-11-2018 “In Toscana altri 21 milioni per il 2018”
Il 16-10-2018 “Nidi gratis, boom di richieste, la Regione Veneto stanzia ALTRI 3 milioni”
Il 04-11-2017 “Asili e nidi, un aiuto alle famiglie- 40 milioni destinati alla Lombardia dal Governo dopo la conferenza Stato-Regioni”.
Ebbene il TAR del Lazio ha dato ragione ai Comuni che hanno fatto ricorso, dando tempo al Governo fino al 22 giugno per spiegare “in una dettagliata relazione come sono arrivati a quei conteggi per il fondo di solidarietà comunale”.
Il Comune di Riccia in Molise (5.000 abitanti) nel suo ricorso contro il Ministero dell’Interno, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, per
“l’annullamento
– del Comunicato del Ministero dell’Interno del 17 gennaio 2019 avente ad oggetto la pubblicazione degli importi del Fondo di Solidarietà Comunale 2019, ai sensi dell’art. 1, comma 921, della L. 145/2018 e dei relativi allegati;
– di ogni ulteriore atto preordinato, consequenziale e/o comunque connesso”,
chiede quindi la “rideterminazione della quota di FSC 2019 effettivamente dovuta al Comune ricorrente secondo la corretta applicazione dei principi costituzionali”.
Nella sentenza il TAR del Lazio ha accolto tale richiesta dando 30 giorno di tempo al fine di “acquisire dalle amministrazioni intimate, ciascuna per quanto di sua competenza, una documentata relazione sui fatti di causa…)
Una cosa è certa, come sottolinea lo stesso Marco Esposito: se si corregge il federalismo comunale sarà più facile cambiare rotta sul federalismo differenziato.
Mentre è notizia diffusa oggi (13 giugno 2019) della doppia vittoria del Comune di Altamura in Puglia, uno dei primi ad avere fatto ricorso perché Comune destinatario di “zero” fondi per gli asili nido
In seguito a ciò la Commissione Tecnica Fabbisogni Standard ha invitato i rappresentanti dei comuni a trovare una soluzione (…).
“Il primo punto fermo è che nessun comune potrà vedersi riconosciuto un fabbisogno superiore al 33% (fino ad oggi ci sono comuni che si sono visti assegnare un fabbisogno per asili nido pari al 46% a fronte dello o% ad Altamura,) questo indubbiamente libererà delle risorse, per garantire un minimo a tutti. Le ipotesi su cui la commissione sta lavorando è per un fabbisogno nella misura non inferiore al 5%, o ancora quella di applicare il DPCM 27 marzo 2015 che ha previsto una copertura al 12%, ed ancora altra ipotesi è quella di considerare come standard la media italiana la quale per le regioni a statuto ordinario è intorno al 13%”.
L’annuncio lo dà direttamente il giornalista Marco esposito dalla sua pagina Fb.
I pericoli dell’autonomia differenziata evidenziati in diverse occasioni di confronto in seminari, corsi di formazione ed assemblee sindacali organizzati anche come PSP, sono quindi peggiorativi di una situazione oramai cristallizzata.
Infatti da precisare che la ripartizione del fondo perequativo fatta nel 2019 ricalca quella precedente. Ossia non è stata fatta alcuna sostanziale modifica. Ma questa volta sono partiti i ricorsi.
L’indagine di M.E. è partita dalla scuola, o meglio dai servizi connessi alla scuola, ossia i trasporti, le mense, fino a generalizzare i servizi sociali, l’assistenza ai disabili, con l’inserimento di una variabile territoriale, la “dummy” che definisce, o meglio non definisce, dei criteri di ripartizione in base alla territorialità, ossia alla regione di appartenenza, per la quale se una regione storicamente non è in grado di gestire o fornire un servizio, gli viene automaticamente ridotta la quota di fondi assegnata. Della serie se sei calabrese e non sai fornire il servizio di assistenza ai disabili nemmeno te li diamo i soldi per questo servizio.
Tabella contenuta nel libro “Zero al Sud”. Come si vede al cifra sarebbe uguale per Nord-est e Sud-Ovest se non vi fosse la variabile regionale (DUMMY) che toglie 18 euro al Sud e li sposta al Nord senza alcuna motivazione. In finale il Nord batte Sud per 86 contro 32 euro.
Ma questa è solo una piccola parte della sottrazione di fondi. I titoli recenti “Scippo al Sud” narrano la cronaca di questa situazione ben peggiore. I dati sono confermati dalla SVIMEZ che quantifica la cifra dello scippo totale al Sud in circa 61 miliardi di euro annui.
Come riconosciuto di recente anche dal premier Conte finora vi è stato il 6% in meno al Sud dei fondi statali totali. Non solo i Fondi Perequatici quindi ma quel 34% che finalmente è legge e che finora è stato negato. Dal 2015 avevamo scritto questa esplicita richiesta in una petizione presentata al Parlamento Europeo come meridionalisti e finalmente, nel mese di maggio 2019, Conte ha firmato il Decreto attuativo.
Un breve passaggio relativo alla petizione portata a Bruxelles nel 2015 chiedeva proprio la:
“Ripartizione dei mezzi finanziari statali ed europei commisurata alla percentuale rappresentata dalla popolazione del Sud d’Italia rispetto alla totalità della popolazione italiana (…) Per un totale di 20.926.615 abitanti (34,43% del totale)”
ANCHE CONTE LO RICONOSCE: «DOVREMMO DARE AL SUD IL 6% DI SPESA IN PIÙ» E FIRMA IL DECRETO CON UN MESE E MEZZO IN ANTICIPO!
Il 6% costituisce la differenza fra il 28% di fatto erogato in media finora ed il 34% che invece spetterebbe al Sud. Questo era ciò che esattamente chiedevamo in una petizione [n. 0748] presentata alla Commissione Europea nel giugno del 2015 e ripresa poi nella legge n.18 del 27.2.2017 (cosiddetto decreto Mezzogiorno).
La SVIMEZ lo afferma già da tempo. Nel rapporto del 2017 aveva anche presentato una simulazione della ripartizioni dei fondi dello stato al SUD in base al numero della popolazione quantificando anche il mancato sviluppo determinato da quell’ammanco.
Negli anni di riferimento per la simulazione 2009-2015 il PIL al Sud è diminuito del 10%. Con la clausola del 34% la diminuzione sarebbe stata la metà, ossia del 5,4%. Questo avrebbe determinato un aumento del PIL in tutta Italia dello 0,2%. A guadagnarci sarebbe stato quindi l’intero Paese.
Anche il premier Giuseppe Conte ha riconosciuto che finora al Sud Italia vi è stata una ingiusta sottrazione di risorse dichiarando che:
“… al Sud dovremmo destinare il 6% in più delle risorse attualmente erogate al fine di ottenere una perequazione dei livelli di spesa pubblica pro-capite e una maggiore uniformità nella qualità dei servizi. Sarà importante tenere conto di questi squilibri nell’ambito della discussione sull’autonomia differenziata”.
Questo è uno stralcio contenuto in una lettera del premier del 18 aprile indirizzata al Quotidiano del Sud l’Altravoce intendendo rispondere ad una inchiesta condotta dal direttore del giornale Roberto Napoletano. I dati in discussione sono quelli contenuti nel Rapporto Annuale del CPT (Conti Pubblici Territoriali) n. 7 del 2018, elaborati anche in una citata Bozza Riservata della SVIMEZ.
Qui viene evidenziata ancora una volta, una forte disparità di distribuzione dei fondi dello Stato, sintetizzata nel grafico di sopra e nella seguente tabella
Spesa pubblica lorda in miliardi % spesa % popolazione Differenza Miliardi/annui
Sud 290,9 28,3 34,3 -61,5
Centro-Nord 735,4 71,7 65,7 +61,5
La tabella seguente è presa direttamente dal documento citato [Rapporto CPT 2018, pag.7] ed è riferita agli anni dal 2000 al 2016.
Nel documento l’interpretazione fornita è la seguente:
“In particolare si nota come la quota di entrate totali del Centro-Nord, sempre superiori alla quota di popolazione, si mantiene leggermente al di sopra di quella del PIL con l’unica eccezione del 2016, anno in cui si assiste ad una inversione di tendenza. Evidenza opposta si registra nel Mezzogiorno in cui gli introiti del SPA sono nettamente al di sotto della quota di popolazione e leggermente al di sotto del PIL con la sola eccezione del 2016 in cui superano il prodotto di due punti percentuali. La spesa totale al netto degli interessi e delle partite finanziarie registra quote costantemente superiori alla popolazione e inferiori al PIL nel Centro-Nord, evidenza opposta nel Mezzogiorno”.
Nella figura 1 appare evidente la forte disparità di spesa pro-capite fra Nord e Sud del Paese, registrando una spesa totale per abitante di 18.815 euro al Centro-Nord e di 11.554 euro al Sud!
In particolare il documento evidenzia che:
“Dalla Figura 1 si nota infatti come nelle regioni del Centro-Nord dal 2007 al 2015 le entrate si siano ridotte dai 21.027 euro per abitante del primo anno ai 18.815 euro dell’ultimo, con una contrazione del -10,5 per cento, fino a raggiungere nel 2016, con un’ulteriore riduzione del -2,3 per cento, i 18.374 euro. Nel Mezzogiorno, invece, la contrazione maggiore si verifica tra il 2007 e il 2011 periodo in cui le entrate passano dagli 11.697 euro pro capite del primo anno, ai 10.792 euro del 2011, con una riduzione, in termini reali, del -7,7 per cento, per poi crescere, nel periodo successivo, del +10,9 per cento fino a raggiungere il valore massimo, pari a 11.973 euro per abitante, nel 2015. Nell’ultimo anno di rilevazione si registra un ulteriore cambio di tendenza con una nuova riduzione del -3,5 che porta le entrate percepite nell’area a 11.554 euro”.
Attualmente al Sud viene erogato circa il 28% della spesa a fronte di una popolazione del 34,2%. La differenza in percentuale è quindi il 6,1%, che tradotto in euro costituisce proprio una differenza di 61,5 miliardi [ossia il 6,1% del totale di spesa lorda di 1026,3 miliardi è circa 61 miliardi]
Eppure c’è stata tutta una evoluzione per definire con legge la distribuzione dei fondi fra Nord e Sud Italia. Si tratta della ormai famosa legge del 34% contenuta ora nella legge di bilancio 2019, art.1 commi 597, 598, 599 e 600, di modifica dell’articolo 7-bis del decreto-legge del 29/12/2017 n. 243 e fissata ora anche nel DPCM che ha appena firmato Conte. La scadenza per definire i decreti attuativi, per come recita la legge stessa, era fissata per il 30 giugno del 2019.
“598. All’articolo 7-bis, comma 2, del decreto-legge 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 18, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, le parole: «30 giugno 2017» sono sostituite dalle seguenti:
«30 giugno 2019», le parole: «individuati annualmente con direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera a), della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno» sono sostituite dalle seguenti:
«individuati annualmente nel Documento di economia e finanza su indicazione del Ministro per il Sud » e le parole:
«individuato nella medesima direttiva» sono sostituite dalle seguenti: «individuato nel Documento di economia e finanza su indicazione del Ministro per il Sud»;
il comma 2 dell’art. 7 bis prevede che:
“2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, da emanare entro il 30 giugno 2017, sono stabilite le modalita’ con le quali verificare, con riferimento ai programmi di spesa in conto capitale delle amministrazioni centrali, individuati annualmente con direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera a), della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, se e in quale misura, a decorrere dalla legge di bilancio per il 2018, le stesse amministrazioni si siano conformate all’obiettivo di destinare agli interventi nel territorio composto dalle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna un volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento (…)”.
Quindi diventa:
“2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro per il Sud, da emanare entro il 30 giugno 2019, sono stabilite le modalita’ con le quali verificare, con riferimento ai programmi di spesa in conto capitale delle amministrazioni centrali, individuati annualmente nel Documento di economia e finanza su indicazione del Ministro per il Sud, se e in quale misura, a decorrere dalla legge di bilancio per il 2018, le stesse amministrazioni si siano conformate all’obiettivo di destinare agli interventi nel territorio composto dalle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna un volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento (…)”.
La modifica riguarda quindi lo slittamento di due anni del termine per presentate le “modalità” con le quali verificare i “programmi di spesa” individuati nel DEF.
Quindi il premier ha firmato il decreto in anticipo rispetto alla data del 30 giugno 2019!
Il Documento di Economia e Finanza è stato deliberato dal Consiglio dei Ministri il 19 aprile 2019. Nella “Sezione I-Programma di Stabilità dell’Italia” si riconosce che:
“L’economia italiana ha perso slancio durante lo scorso anno, registrando nel complesso una crescita del PIL reale dello 0,9 per cento, in discesa dall’1,7 per cento del 2017”.
Nel paragrafo 1.2, quella crescita dello 0,2% del Pil che nelle previsioni della Svimez veniva affidato alla ripartizione dei fondi al 34% al Sud, viene ora affidato agli effetti di spesa del Reddito di Cittadinanza:
“…Nel complesso, il RdC dovrebbe innalzare la crescita del PIL reale di 0,2 punti percentuali sia nel 2019 che nel 2020”.
Potrebbe quindi verificarsi una sorta di somma algebrica ed avere un aumento dello 0,4% del Pil unendo gli effetti le due misure?
Ma di fatto nel DEF dove sono contenuti esattamente i “programmi di spesa”?
Una analisi sul Def 2019 la fa subito la SVIMEZ, esposta dal direttore Luca Bianchi insieme al presidente Svimez, Adriano Giannola e al vicedirettore, Giuseppe Provenzano, nelle commissioni Bilancio di Senato e Camera:
“L`attuazione della clausola del 34%, che comunque non avverrebbe prima dell`esercizio di Bilancio 2020, pur rappresentando una novità positiva, appare dunque assai parziale e incerta”
Il giornalista Marco Esposito riporta l’incontro in un articolo:
“Svimez: falsa partenza per il 34% al Sud
L’analisi sul Def: «Assai limitata la sperimentazione, parziale e incerto il riequilibrio territoriale degli investimenti pubblici» Modesta la spinta del Reddito di cittadinanza: Pil – 0,06%
Pericolose per il Meridione flat tax e autonomia differenziata”.
La notizia è stata riportata da diverse testate. Il Corriere del Mezzogiorno sintetizza:
“Colpisce la mancanza di una strategia specifica per il Mezzogiorno, proprio nell’anno in cui abbiamo salutato come una novità positiva l’attenzione dedicata dal Country Report della Commissione europea alla priorità di intervento sulla coesione economica, sociale e territoriale”.
Bisognerà quindi rifare i calcoli alla luce del recente decreto e rivedere anche le previsioni di sviluppo del Sud.
Sempre dai CPT si evidenzia che finora al 34% al Sud vi è la PRESSIONE TRIBUTARIA
P.S.
La petizione presentata alla Commissione Europea prevedeva inoltre l’istituzione nel Parlamento europeo di una Commissione speciale della durata di tre anni denominata “Dignità, vita, lavoro, sicurezza, salute, ambiente e protezione dei consumatori in tutti i territori dell’Unione europea”, che dovrebbe avere il compito di analizzare e valutare nell’intera area dell’Unione europea, a partire dall’Italia meridionale e dalla Sicilia, l’entità del fenomeno dell’avvelenamento dei territori da interramento dei rifiuti, affondamento di navi e altre forme di devastazione ambientale, con particolare attenzione alla qualità delle acque, dei cibi, dell’aria; valutare proposte per circoscrivere le aree contaminate e procedere alle bonifiche; promuovere una certificazione dei prodotti nell’interesse primario della salute dei consumatori e della tutela delle attività imprenditoriali; verificare il corretto utilizzo dei fondi pubblici e in particolare dei finanziamenti dell’Unione Europea; proporre misure adeguate che consentano all’Unione di prevenire e contrastare tali minacce, a livello internazionale, europeo e nazionale.
Questa ulteriore richiesta non è stata ancora per il momento presa in considerazione, ma che abbiamo intenzione di rilanciare proprio in occasione del rinnovo del Parlamento Europeo.
Regione:
In occasione delle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo come meridionalisti avevamo lanciato un altro appello ai candidati che in sintesi riprendeva la richiesta di costituzione di una commissione di inchiesta sulla Questione Meridionale. Ad averla sottoscritta 4 europarlamentari uscenti e riconfermati del Movimento 5 stelle. Spetta a loro ora mantenere l’impegno e far sì che finalmente la Q.M. entri nell’agenda del Parlamento Europeo.
Per i Partigiani della scuola pubblica
Rosella cerra
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