maccheronicalabresi
3 febbraio 2017

Ricette calabresi-cucina leggendaria

Felicità è… un piatto di maccheroni calabresi


Il ricordo delle domeniche in Calabria è indissolubilmente legato ai meravigliosi effluvi di pomodoro emanati da una pentola che borbottava sul fuoco e dalle figure delle donne di famiglia con le mani infarinate che, riunite intorno ad un grande tavolo, impastavano con maestria. Era il preludio del grande pranzo delle feste con il suo piatto principe: i maccaruni!

I maccheroni calabresi fatti a mano sono da considerarsi senz’altro i capostipiti della pasta che dalla Calabria si è poi diffusa nella Penisola. Tuttora sono conosciuti e vengono chiamati in tanti modi nei vari territori: maccarruni i casa, scilatielli, scialatielli, firrazzul, maccarruni a firrettu, fileja, fhilateri, strangugliapriaviti, ma si tratta sempre di pasta di grano duro, preparata con un impasto di semola e acqua, e modellata intorno a un ferretto di sezione quadrata. Anticamente per lavorare la pasta venivano usati i gonaci, gli steli legnosi del fiore della disa, successivamente ferri da calza o ferretti di un ombrello rotto.

I maccheroni calabresi per tradizione vanno conditi con ricchi sughi a base di pomodoro e carne di capra, manzo o maiale (maccarruni cu’zucu ra crapa, ru boi o ru porcu), da completare con una grattugiata di formaggio pecorino o di ricotta salata. Con lo stesso impasto si possono confezionare le lagane, (dal greco laganon, sfoglia di pasta tagliata) striscette di pasta larghe circa tre centimetri e lunghe otto o dieci adatte per gustose minestre come i ciciari culli lagani, di rito in Calabria nel giorno di San Giuseppe, e sontuose paste al forno, con le lagane più grandicelle alternate a sugo di pomodoro e ripiene di purpetti, suprissata e provola silana. Le lagane non sono altro che le antenate delle più moderne lasagne.

La pasta è davvero un cibo molto antico: si hanno tracce della pasta negli scavi archeologici di un villaggio del neolitico in Cina, in tombe etrusche in Italia; era il cibo preferito di Cicerone e anche di Orazio, che nel 35 a. C. scriveva: «…inde domum me ad porri et ciceris refero laganique catinum (me ne torno a casa alla mia scodella di porri, ceci e lasagne)».

Ne parlava Apicio nel I secolo a. C. in De re coquinaria, il primo libro di ricette della storia, e poi Boccaccio nel Decameron, a proposito delle meraviglie del Paese di Bengodi. La patria della pasta è il sud Italia, in particolare la Sicilia, dove già intorno all’anno Mille a Trabia, vicino Palermo, si faceva un tipo di pasta secca lavorata in filamenti che aveva il nome arabo di itriyah. Era un cibo così diffuso che da lì fino al Medioevo i siciliani furono considerati formidabili mangiatori di pasta e meritarono per primi l’appellativo di mangiamaccaruna, seguiti dai napoletani e dai calabresi qualche secolo dopo, quando nel Cinquecento iniziò a Napoli e dintorni la produzione dei primi pastifici.

Da allora fino ad oggi, la pasta, sia fresca che secca, si è diffusa dappertutto, confermandosi come uno dei cibi più sani, equilibrati e gustosi che ci siano e maccherone, da termine dispregiativo, è diventato nel tempo sinonimo di bontà e italianità in tutto il mondo.

L’etimologia di maccherone è incerta: potrebbe derivare dal latino maccare, che significa schiacciare, oppure da Maccus, personaggio delle commedie atellane, un Pulcinella antelitteram sciocco e mangione, o ancora dal greco macron, grosso, o makaria, impasto di orzo e acqua. D’altra parte scopriamo con piacere che makar in greco significa anche felice, il che fa venire in mente gli scialatielli, (tipo di pasta fresca campana e calabrese), termine che potrebbe discendere da scialare, sentirsi felici.

E comunque, per esperienza personale e senza scomodare oltremodo la filologia e la storia, possiamo affermare senz’altro che i maccheroni fanno bene al corpo e all’anima e prepararli e mangiarli all’uso calabrese ci renderà ancora più felici.

La ricetta dei maccheroni calabresi
Ingredienti per 6 persone: 500 grammi di farina di grano tenero, 500 grammi di farina di semola, acqua fredda quanto basta, ferretto per lavorare i maccheroni.

Preparazione: su una spianatoia versate la farina a fontana e versate poco alla volta l’acqua fredda al centro di essa. Incorporate la farina e aggiungete l’acqua fredda fino a che sia necessario, così da ottenere un impasto sodo. Lavorate il tutto con le punta delle dita e successivamente con le mani, fino ad ottenere un panetto di pasta duro. A fine lavorazione, prendete il panetto e con le mani schiacciatelo sulla base dai lati, girando continuamente l’impasto per i maccheroni.

Adagiatelo su di un piano e copritelo con un panno pulito. Lasciate riposare il panetto per almeno mezz’ora prima di procedere con la preparazione dei maccheroni usando il ferretto. Staccate dalla palla di pasta un pezzo grande e rotolatelo con le mani fino a formare un cilindro.

Da questo ricavate dei fili di pasta tipo altri cilindri più fini dal diametro grande più o meno quanto una sigaretta. Ponete ad uno a uno questi cilindri al centro del ferretto in senso orizzontale e con il palmo della mano rullate il cilindro di pasta e il ferretto sulla spianatoia con un movimento deciso di avanti e indietro finché il cilindro di pasta si sarà allungato aderendo al ferretto.

La dimensione più usuale dei maccheroni tipici è quella lunga, ma si potrà scegliere se farli anche corti o medi. Adagiate i maccheroni uno accanto all’altro senza farli attaccare e spolverate un po’ di farina su di essi. Questo impasto base per preparare i maccheroni è utile anche per altri formati, come le lagane e i rascatilli, simili agli strascinati pugliesi.
Annamaria Persico


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