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2 agosto 2020

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2 agosto 1980: strage di Bologna. L’Italia non dimentica


L’ordigno esplose nella sala d’attesa di seconda classe della stazione causando il crollo dell’ala Ovest, distruggendo una trentina di metri di pensilina e il parcheggio dei taxi antistante lo scalo ferroviario, e causando la morte di ottantacinque persone e il ferimento di oltre duecento. I ventitre chilogrammi di esplosivo si trovavano in una valigia sistemata su un tavolino portabagagli, nella sala d’attesa gremita di persone. Insieme alla vita di tante vittime innocenti e casuali, si fermò anche la speranza di un futuro più sereno dopo il sangue incolpevole versato negli Anni di piombo.

Appena 6 anni prima della Strage di Bologna, un altro attentato dinamitardo si era verificato tra il 3 e il 4 agosto sul treno Italicus, mentre transitava in provincia di Bologna. Nella strage morirono 12 persone. Anche per questo attentato furono incriminati esponenti del Neofascismo italiano i quali miravano ad uccidere Aldo Moro che grazie ad un imprevisto di lavoro scese dal treno poco prima e scampò alla morte. L’attentato dell’Italicus, insieme alla Strage di piazza Fontana (1969), alla Strage della Loggia (1974) e alla Strage di Bologna (1980), è considerato uno dei più gravi attentati verificatisi negli Anni del Terrorismo.

Ritornando a Bologna, la strage fu un dolore corale perché quel lutto apparteneva a tutti. Subito dopo l’esplosione, prima di potersi disperare e poter metabolizzare il lutto, l’Umanità fu più forte del Terrore che gli stragisti volevano determinare. Tutti a vario titolo presero parte ai soccorsi. L’autobus di linea Trentasette, che è diventato uno dei simboli della reazione immediata e spontanea della collettività alla bomba che dilaniò il luogo-simbolo della vita e delle relazioni di una intera città, fu subito adibito al trasporto delle salme. Fu smontato, infatti, l’arredamento interno per agevolare il trasporto di morti e feriti estratti dalle macerie. La città rispose in massa a quell’attacco di mani ignote: non c’era tempo per la disperazione, era richiesta solidarietà e compassione. Probabilmente gli uomini del Terrore si aspettavano un’altra reazione. Ma Bologna non fu scomposta, né violenta. I viaggiatori superstiti e i cittadini accorsi prestarono assistenza alle vittime, le auto private cominciarono la spola con gli ospedali per il trasporto dei feriti. Bologna ebbe la forza di reagire. Soprattutto non mostrò di volersi allontanare dalle istituzioni democratiche.
Fu una tragedia anomala che all’inizio non sembrava rientrare nella cosiddetta “Strategia della tensione” perché la stagione stragista, inaugurata con piazza Fontana, sembrava ormai uno spettro del passato. Dopo la morte di Aldo Moro, due anni prima, e l’eliminazione di ogni possibilità di apertura al Partito Comunista Italiano, la situazione politica interna era meno convulsa, anzi sembrava essersi stabilizzata. L’attentato terroristico di Bologna sembrava, quindi, mancare di quel fine ideologico che aveva caratterizzato gli anni precedenti.

Il presidente della Repubblica Sandro Pertini si recò sul posto quello stesso pomeriggio, per rendersi conto personalmente della tragicità dell’accaduto. “Non ci sono parole che possano esprimere il mio stato d’animo. È una cosa straziante!”, con queste poche e sincere parole il Padre della Patria accarezzò una città martoriata.
Il giorno dei funerali si raccolsero 500 mila persone a San Petronio. Sul sagrato della chiesa vi erano tutti gli uomini delle istituzioni con gli occhi bassi e la fascia tricolore. A parlare in Piazza Maggiore, nel silenzio e nel dolore collettivo, fu il sindaco della città. Dopo la bomba alla stazione di Bologna anche l’Arte si mobilitò: Renato Guttuso realizzò un quadro dando all’opera lo stesso titolo di un’incisione di Francisco Goya: Il sonno della ragione genera i mostri.

La vicenda giudiziaria fu lunga e complicata. Nel 1995 si giunse alla sentenza definitiva che condannò all’ergastolo i neofascisti dei Nuclei armati Rivoluzionari (NAR) Giuseppe Valerio Fioravanti, arrestato in un covo a Padova un anno dopo la strage, e Francesca Mambro, e a 10 anni, condannati per depistaggio, Licio Gelli della Loggia massonica P2 e altre 3 persone. Nonostante la magistratura abbia concluso il suo percorso individuando gli esecutori materiali dell’orribile mattanza, la Strage di Bologna resta uno degli episodi più tristi della storia italiana.
Il CNDDU ritiene sia di fondamentale importanza far conoscere alle nuove generazioni le dinamiche sociali, politiche ed economiche e gli eventi storici che colpirono l’Italia tra gli anni ‘60 e gli anni ’80 del Novecento perché questi ultimi, purtroppo, ancora non costituiscono punti fermi nella memoria del Paese. I giovani spesso confondono le matrici delle stragi o conoscono solo gli accadimenti più eclatanti. Mentre, invece, la storia dell’Italia repubblicana avrebbe bisogno di essere assimilata come narrazione condivisa e consapevole della storia nazionale.

“Viva l’Italia, l’Italia del 12 dicembre…l’Italia che resiste” cantava Francesco De Gregori già nel 1979. “Qualcuno era comunista perché piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica…” cantava Giorgio Gaber nel 1991. Forniamo ai nostri studenti qualche strumento in più per comprendere questi testi e tanti altri, i fatti salienti del periodo in questione e i pericoli di un estremismo, figlio della violenza, che ha mandato in frantumi anni di lotte per la libertà e la giustizia. Per tali ragioni creiamo nelle nostre scuole una forma memoriale affinché le tematiche che stiamo affrontando siano presenti negli ambiti di formazione, affinché Stragismo e Terrorismo non siano solo dipanati in ambito giudiziario, ma siano monito alle nuove generazioni, affinché pagine della storia repubblicana del Nostro Paese non siano sospese tra cronaca e oblio.
Ricordare l’Italia delle stragi significa non smettere di abbracciare idealmente le famiglie delle innocenti vittime, significa esorcizzare la violenza ed educare le nuove generazioni al dialogo e alla cittadinanza democratica e significa soprattutto rispettare e amare il proprio Paese.
Prof.ssa Rosa Manco
Coordinamento Nazionale dei Docenti della Disciplina dei Diritti Umani


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