Il 2 novembre è il giorno della commemorazione di tutti i fedeli defunti (in latino Commemoratio Omnium Fidelium Defunctorum), comunemente detta giorno dei morti, solennità che segue quella dell’1 novembre in cui si celebrano Tutti i Santi.
Secondo il calendario liturgico romano è considerata alla stregua di una solennità e ha precedenza sulla domenica. La ricorrenza è preceduta da un tempo di preparazione e preghiera in suffragio dei defunti della durata di nove giorni, la cosiddetta novena dei morti, che incomincia il giorno 24 ottobre. Alla commemorazione dei defunti è connessa la possibilità di acquistare indulgenza, parziale o plenaria, secondo le indicazioni della Chiesa cattolica. Il colore liturgico è viola o nero.
In Italia il 2 novembre è considerata giorno festivo benchè non sia mai stato ufficialmente istituito come festività civile.
STORIA
Dall’Encyclopædia Britannica (1910): «Giorno dei morti… giorno riservato nella Chiesa cattolica romana alla commemorazione dei fedeli defunti. La celebrazione si basa sulla dottrina che le anime dei fedeli che alla morte non si sono purificate dai peccati veniali, o non hanno espiato le colpe passate, non possano raggiungere la Visione Beatifica, e che possano essere aiutate a conseguirla mediante la preghiera e il sacrificio della messa… Alcune credenze popolari relative al Giorno dei morti sono di origine pagana. Così i contadini di molti paesi cattolici credono che quella notte i morti tornino nelle loro case precedenti e si cibino degli alimenti dei “vivi”». (Vol. I, p. 709.)
L’idea di commemorare i defunti in suffragio nasce su ispirazione di un rito bizantino che celebrava infatti tutti i morti, il sabato prima della domenica di Sessagesima, all’incirca in un periodo compreso tra la fine di gennaio e il mese di febbraio.
Nella chiesa latina il rito viene fatto risalire all’abate benedettino sant’Odilone di Cluny nel 998: secondo dom Prosper Guéranger, la Cronaca di Sigeberto di Gembloux attesta che sant’Odilone di Cluny istituì la festa in tutti i monasteri da lui dipendenti.[6]
Con la riforma cluniacense si stabilì infatti che le campane dell’abbazia fossero fatte suonare con rintocchi funebri dopo i vespri del 1º novembre per celebrare i defunti, e il giorno dopo l’eucaristia sarebbe stata offerta pro requie omnium defunctorum; successivamente il rito venne esteso a tutta la Chiesa cattolica. Ufficialmente la festività, chiamata originariamente Anniversarium Omnium Animarum, appare per la prima volta nell’Ordo Romanus del XIV secolo.
La Solennità è collegata alla verità di fede nella comunione dei santi, nella remissione dei peccati e nella resurrezione della carne come affermati sin dai tempi del Credo Apostolico. La biografia di Odilone curata da san Pier Damiani riferisce che un monaco nativo di Rodi, di ritorno a Gerusalemme, si fermò nell’Isola di Vulcano dove un eremita gli riferì eventi soprannaturali vissuti dalle anime tormentate da demoni e della loro liberazione interceduta dalle orazioni ed elemosine degli abati cluniacensi. Il racconto del monaco influenzò l’iniziativa dell’abate Odilone. (Fonte Wikipedia)
ORIGINI
Il culto dei morti ha origini fin dalla preistoria umana come attestato dalle incisioni rupestri della Val Camonica. Già in era pagana i defunti venivano ricordati nel periodo di passaggio all’inverno, la morte simbolica della natura, poi fu fissata in epoca cristiana una data precisa, il 2 novembre, mentre nella religione greco-ortodossa ai defunti è dedicato un giorno della Quaresima. In molti paesi del Sud si credeva fino a non molto tempo fa che i morti continuassero a stare in casa a lungo dopo il decesso, anche un mese, e quindi la sera si lasciava la tavola apparecchiata affinchè si sfamassero.
In parecchi paesi della Calabria era usanza, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, di lasciare per i morti la tavola apparecchiata con cibo, vino e anche un mazzo di carte se si trattava di maschi. In alcune zone del Vibonese e del Catanzarese si lasciava anche una lampada accesa fatta con una zucca intagliata (coccalu d’u mortu) esattamente come nell’anglosassone festa di Halloween. La tradizione di preparare delle zucche intagliate per rappresentare i defunti (o meglio le loro teste) si ritrova anche in Puglia denominata cocce priatorije accompagnata da Fuca Coste, falò da accendere nella notte magica per illuminare la strada ai defunti che ritornano sulla Terra.
In altre ancora i defunti venivano nutriti attraverso i poveri del paese, che la mattina del giorno dei morti venivano invitati a mangiare in ogni casa. Lo stesso significato, simile al «dolcetto o scherzetto» anglosassone, ha la tradizione dei bambini che girano per le case a fare la questua in uso in Sardegna ma anche in Puglia e in Abruzzo.
In alcune zone del Cosentino si usava che al mattino presto le famiglie al completo uscivano in corteo recitando il rosario e ad assistere alla Santa Messa, dedicando le preghiere ai defunti e al ritorno c’erano cibo e bevande in abbondanza per tutti.
I morti però tornavano non solo per mangiare e dissetarsi, ma anche per portare doni ai bambini buoni, usanza molto diffusa in Sicilia e un po’ anche in Calabria. Da questa tradizione sono nati i cosiddetti dolci dei morti, preparazioni come le «ossa di morto», delicati e profumati biscotti ai chiodi di garofano, le fave dei morti, dolcetti di mandorla, e le «dita di apostolo», dolcetti con ripieno al cacao e spezie.
In Sicilia, come descritto magistralmente da Andrea Camilleri nel racconto «Il giorno che i morti persero la strada di casa», era tradizione nelle famiglie preparare il cannistro cioè un cesto pieno di regalini per i bambini e dolci tipici, che veniva nascosto nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre e piccoli di casa poi dovevano trovare, tradizione perduta in parte nel dopoguerra con l’arrivo degli americani e l’introduzione di abitudini anglosassoni.
ANNAMARIA PERSICO