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8 dicembre 2016

News

A proposito di mense «ad excludendum!»


Se chiedi ad un bambino, seduto a mensa con i compagni senza il cibo fornito dalla ditta che ha appaltato il servizio e senza il solito panino, preparato dalla mamma, da consumare, ti senti rispondere che gli è stato impedito. Proprio in quel momento, ti chiedi se viviamo in uno stato di diritto o nella repubblica delle banane.

E questo, nonostante la sentenza del tribunale di Torino che ha rigettato il reclamo del Miur, riconoscendo il diritto agli studenti di portarsi il pranzo da casa e di consumarlo nel refettorio insieme ai compagni. Chiarisco, però, che parlo di famiglie che vivono forti disagi economici e devono rinunciare al blocchetto dei buoni pasto e non soltanto.

È a questi casi limite che mi riferisco e non a quei bambini che potrebbero permettersi non solo di andare a casa a pranzare e poi ritornare, ma addirittura di prenotare il pranzo nel miglior ristorante e consumare tutte le leccornie di proprio gradimento.

Mi riferisco al bambino il cui papà è disoccupato e la pensione della nonna non è sufficiente per pagare le bollette e quando va al tempo pieno e vive l’esperienza della mensa, dovendo rinunciare anche al panino imbottito con la fetta di mortadella più sottile della carta velina, viene umiliato due volte.

Non dunque bambini con al seguito familiari spocchiosi e badanti con in groppa vassoi di porcellana colmi di minestre prelibate, ma bambini di famiglie che non ce la fanno, a cui basterebbero anche i resti (destinati alla razza canina) che non mangiano gli altri, per sentirsi trattati almeno come i fedeli amici dell’uomo.

Una vicenda che non può non indignare anche perché poi ci tocca ascoltare dei ministri che parlano di mensa come «momento di condivisione del cibo e momento fondamentale di interazione», nel mentre qualche bambino, a cui quantomeno non è stato negato il posto a sedere, osserva gli altri che mangiano, mentre il suo panino imbottito (si fa per dire!) riposa in pace in classe nello zaino. La mensa, di cui si decanta il carattere formativo, rischia di trasformarsi, pertanto, in luogo di vergognosa esclusione.

Di fronte a tutto questo, qualche Miur discetta disconoscendo il lavoro dei tribunali e precisando che le sentenze coinvolgono solo le parti e non valgono «erga omnes». Gli enti cointeressati, come sovente accade, continuano ad osservare un silenzio «canonico», come se tutto ciò non li riguardasse.
Fiore Isabella


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