Mappa della popolazione residente in zone a rischio frane
10 dicembre 2018
Mappa della popolazione residente in zone a rischio frane

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Amici della Terra: «Territorio calabrese in gravissimo degrado, agire subito per evitare ulteriori perdite di vite umane e danni»


Gli ingenti danni e la perdita di vite umane provocate dalle prime piogge dell’attuale stagione autunnale impongono a tutti il dovere di considerare seriamente le gravi condizioni di degrado del territorio e i prevedibili effetti sulle aree e persone esposte ai vari rischi idrogeologici in tutti i comuni della Regione.

Prevenire ed evitare la perdita di vite umane e attenuare i danni per le inevitabili prossime piogge è possibile recuperando la memoria storica e utilizzando dati, nuove tecnologie e strumenti informatici e di comunicazione disponibili. In pratica, è possibile e si deve agire subito, senza aspettare la realizzazione delle pur necessarie e costose opere di difesa del suolo e di risanamento del diffuso degrado idrogeologico del Territorio.

In Calabria la popolazione a rischio residente in aree a Pericolosità da frana è 171.225 e in aree a pericolosità idraulica è 246.686. Il numero di edifici a rischio in aree a pericolosità idraulica è 84.703 e quello in aree a pericolosità da frana è 83.779. Il numero di beni culturali a rischio in aree a pericolosità idraulica è 4.893 mentre quello in aree a pericolosità da frana è 1.010. Le Unità locali di Imprese a rischio in aree a pericolosità idraulica sono 15.573 mentre quelle in aree a pericolosità da frana 8.049.

Sulla localizzazione delle aree a rischio frana e alluvione esiste dal 2001 dettagliata documentazione nelle varie Carte del Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico (PAI) disponibili in tutti i comuni e, tra l’altro, a corredo dei Piani di Emergenza Idrogeologica e di Protezione Civile. Com’è noto in tutti i comuni della Regione sono state individuate aree a rischio idrogeologico che complessivamente nel 2003 comprendevano: 502,7 chilometri quadrati di superfici alluvionabili e 664 chilometri quadrati di aree franabili.

D’altra parte sono da considerare gli innumerevoli casi di alluvionamenti e frane sia degli ultimi anni che del passato con le distruzioni e i morti descritti nei libri di storia e pubblicazioni scientifiche che riguardano il nostro territorio. Così come sono da considerare i dati riportati nella mappa “Valutazione delle Piene in Calabria” redatta nel dicembre 1987 dall’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica di Cosenza e dal Gruppo Nazionale per la Difesa Catastrofi Idrogeologiche.

Ancora più significativa, per comprendere le variazioni climatiche e la diffusione delle aree a rischio inondazione, è la Carta Geologica della Calabria, redatta prima delle opere di bonifica della Piana di Sant’Eufemia e Rosarno, con l’indicazione delle conoidi di deiezione cioè degli accumuli di massi, ciottoli, ghiaia e sabbia trasportati dai corsi d’acqua in occasione delle loro frequenti alluvioni. Uno stralcio della stessa carta geolitologica riguardante la zona della tragedia dei tre morti dell’ottobre scorso evidenzia estensione e limiti delle aree interessate dagli eventi alluvionali del passato (Detriti dei coni di deiezione, in legenda, indicati con pallini di colore rosso) e le alluvioni fluviali, dune e spiagge più recenti indicate in legende di colore bianco.

Le stesse conoidi formate dalle alluvioni più antiche sono diffuse su gran parte delle aree subpianeggianti dei centri abitati e la loro rilevanza è evidenziata nella più importante opera scientifica sui caratteri geologici ed evolutivi del territorio regionale dell’ing. Cortese dove si evidenzia: «Meglio che negli alvei dei torrenti, la rovina delle montagne e le frane dipendenti dai disboscamenti si apprezzano esaminando i coni di deiezione lungo le spiagge. Il disboscamento delle pendici del Reventino e del Mancuso ha portato lo scoscendimento di esse, e i fiumi hanno portato già tali accumuli di detriti da produrre rovine immense. Il torrente Piazza minacciava Nicastro, che era difesa da un enorme bastione rivestito di pietrame, e una notte, scendendo impetuoso, distrusse il sobborgo detto Terra Vecchia, accumulandovi contro detriti fino all’altezza del primo piano, e fra i detriti, dei blocchi di 6 metri cubi di volume».

Da considerare sono inoltre i risultati delle indagini della Commissione Lavori pubblici, Comunicazioni e Agricoltura della VI legislatura del Senato sui “Problemi della difesa del suolo” dove emerge che “un esame anche sommario delle aree minacciate dimostra, come su di esse si concentri una parte molto cospicua della popolazione, della ricchezza e del potenziale produttivo. Il fatto stesso di essere in pianura, più vicine al mare, meglio servite dalle vie di comunicazioni, sedi talvolta dei più antichi e illustri insediamenti urbani, ha facilitato in passato e facilita tuttora la concentrazione in queste aree delle attività umane e degli investimenti privati e pubblici. Ogni anno che passa, pertanto, accrescendosi la consistenza e il valore delle ricchezze situate nelle aree minacciate dalle alluvioni, cresce la potenziale entità dei danni che le alluvioni possono arrecare.

Gli eventi alluvionali, d’altra parte, traggono origine e assumono diversa gravità in relazione allo stato di dissesto in cui si trovano gli alti e medi bacini dei corsi d’acqua. Avendo alle spalle decenni di irrazionale utilizzazione dei terreni montani e collinari e di sporadica e discontinua azione diretta a contrastare i fenomeni del loro dissesto, la minaccia a monte è venuta ognora crescendo con ritmo ancora più celere da quando l’esodo delle popolazioni montane ha indebolito e diradato la difesa, che nel proprio interesse, gli uomini opponevano in passato al dissesto stesso. Ogni anno che passa, pertanto, accrescendosi il dissesto degli alti e medi bacini dei corsi d’acqua, la minaccia alluvionale diventa più grave e rovinosa.

Una conferma di questa previsione emerge dalle più recenti elaborazioni dell’ISPRA che evidenziano come dal 2015 al 2018 si registra un incremento del 4,7% della popolazione a rischio frane residente in aree a maggiore pericolosità e un incremento del 4,4% della popolazione a rischio alluvioni nello scenario a media pericolosità.

I dati e le cartografie sopra richiamati, spesso ignorati da chi ha malgovernato e deciso dove allocare le aree per insediamenti urbani, turistici, industriali ed importanti reti viarie ed aeroportuali, non possono continuare ad essere sottovalutati nei Piani di Emergenza Idrogeologica e di Protezione Civile e nelle relative procedure di allerta.

E riguardo le attività necessarie per un’efficace azione di prevenzione ed educativa finalizzata alla messa in sicurezza per prevenire la perdita di vite umane è indispensabile far conoscere a tutti i contenuti dei Piani comunali di Emergenza Idrogeologica e di Protezione civile ed effettuare continue esercitazioni nelle scuole, nei luoghi di lavoro e in ogni nucleo urbano esistente. Un buon Piano di Protezione Civile, a differenza degli interventi e opere di difesa del suolo e per la messa in sicurezza del Territorio, può essere predisposto in tempi brevi e costi irrisori anche nei comuni dotati di bilanci con poche disponibilità finanziarie; e sarà tanto più utile ed efficace per ridurre i danni quanto più sarà aderente e rispettoso delle indicazioni contenute: nelle dettagliate Linee Guida per la pianificazione comunale di emergenza di protezione civile e in particolare nella Direttiva sul Sistema di allertamento per il rischio idrogeologico ed idraulico in Calabria (Delibera G.R. n. 172/2007). Gli stessi Piani sono necessari per il nuovo sistema di allerta annunciato nei giorni scorsi al Festivalmeteorologia dal Capo della Protezione Civile Borrelli. Un sistema di allerta nazionale, IT-Alert, in grado di fornire informazioni personalizzate in base al punto fisico in cui si trova il cittadino con un messaggio per il rischio idrogeologico, idraulico, maremoto, ecc.

Le necessità delle attività di prevenzione e delle opere di risanamento sono da realizzare con urgenza anche in considerazione del cambiamento climatico in atto ma ignorato o sottovalutato da classi dirigenti locali e nazionali.
Si tarda a comprendere che il clima è un “bene comune, di tutti e per tutti e i cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità”.

Queste rilevanti implicazioni determinate dalle variazioni climatiche degli ultimi millenni emergono dalle sempre più avanzate ricostruzioni delle dinamiche evolutive del paesaggio e degli antichi insediamenti antropici delle fasce costiere del Mediterraneo e anche del Golfo di Sant’Eufemia dove esistono varie superfici antropizzate ed urbanizzate sepolte da vari metri di sedimenti alluvionali e Dune che documentano l’alternarsi di periodi più freddi e più caldi rispetto all’attuale.

D’altra parte, e per come ampiamente documentato dalla storia della Terra e dell’Uomo, va considerato che dall’origine della Terra e dalla comparsa dell’Uomo non c’è mai stato l’<> in nessun luogo del Pianeta. Sono invece sempre più numerose e dettagliate le conferme scientifiche sulle variazioni e oscillazioni climatiche con l’alternarsi di periodi più caldi a periodi più freddi. In particolare su quelle avvenute negli ultimi mille anni.

È da ricordare, inoltre, che negli anni sessanta i climatologi, in considerazione dell’accertata crescita dei ghiacciai in tutto il mondo e dei risultati di altre ricerche ecologiche, erano ossessionati dall’idea che una nuova glaciazione fosse imminente. E che nel 1978, per fronteggiare il temuto raffreddamento globale (Global Cooling), il Congresso degli Stati Uniti lanciò un programma nazionale sul clima da realizzare tra 1980 e 2000.
E forse stupirà qualche giovane lettore apprendere che, durante la presidenza Nixon, esperti e militari americani, per contrastare il raffreddamento globale, proponevano piani e interventi come ad esempio:
-aumentare le emissioni di CO2 in modo da rafforzare l’effetto serra;
-costruire una diga in cemento tra Groenlandia e la Norvegia;
-riscaldare la Groenlandia con appositi reattori nucleari o, in alternativa, sciogliere il ghiaccio dei poli con bombe all’idrogeno;
-costruire una diga per sbarrare lo stretto di Bering, tra Alaska e Siberia al fine di regolare il clima mondiale.

Il progetto della Diga tra Alaska e Siberia per regolare il clima mondiale fu il tema centrale del vertice russo-statunitense di Vladivostok tra i presidenti Ford e Brezhnev nel novembre 1974.
D’altra parte è ben noto come negli ultimi anni, molti climatologi e membri del Gruppo Intergovernativo Cambiamenti Climatici (I.P.C.C.) prevedono invece un progressivo aumento della temperatura e di conseguenza un possibile aumento del livello dei mari come già accaduto nel passato. E che negli Stati Uniti, in alcuni centri di studi e ricerche sul clima, vengono elaborate mappe ottenute dalla simulazione di scenari con l’innalzamento del livello dei mari a seguito di eventuali aumenti della temperatura. Le mappe ottenute immaginando un aumento di temperatura di 2 e 4 gradi centigradi in corrispondenza della fascia costiera del Golfo di Sant’Eufemia e della Piana di Sibari evidenziano la eventuale avanzata delle acque del Tirreno e dello Jonio.

Abbiamo conoscenze e mezzi per agire subito e prevenire danni e, soprattutto, la perdita di vite umane per la pioggia.
geologo Mario Pileggi Consiglio Nazionale Amici della Terra


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