“Azzurro”: il romanzo sociale di Francesco Scoppetta
Recensione di Costanza Falvo D’Urso
…“In questo racconto la noia e il caso sono elementi fondamentali”, così annota Francesco Scoppetta in quarta di copertina del suo libro AZZURRO. Personalmente non sono del tutto d’accordo per una citazione suggeritami dallo scrittore e psicologo anglo-canadese Keith Oatley:
“che cosa sono un pezzo di narrativa, un romanzo o un racconto? Sono pezzi di coscienza che vengono passati da una mente all’altra. Quando leggiamo stiamo prendendo un pezzo di coscienza di qualcuno che facciamo nostro” e il termine coscienza ha come sinonimo conoscenza, infatti etimologicamente i due termini hanno la stessa radice, anche in ambito filosofico e psicologico coscienza sta per consapevolezza non solo di ciò che avviene in noi ma anche consapevolezza dell’ambiente circostante. Conoscenza significa quindi prendere coscienza della realtà, dei reali problemi del paese, della nostra città, dell’hinterland ed è quello che secondo me ha fatto Francesco Scoppetta con il suo libro.
Anche Giuseppe Giglio, critico letterario, che è stato ultimamente ospite dell’Uniter, ha affermato che per scrivere bisogna sì avere talento, bisogna possedere la tecnica della scrittura creativa, bisogna aver letto molto, anzi moltissimo, ma soprattutto non si può raccontare una storia se non viene dalla propria vita, bisogna scrivere la verità pur servendosi della finzione letteraria. Senza entrare nel merito della ormai superata “vexata quaestio” dei generi letterari e delle varie categorie all’interno del genere, definirei il libro di Scoppetta un giallo sociologico o meglio un romanzo sociale con un enigma da sciogliere, perché AZZURRO ci suggerisce anzi ci spinge a prendere coscienza di ciò che avviene nella nostra città e non solo. Scorrendo le pagine del libro di sicuro nella mente del lettore affioreranno fatti di recente cronaca nera.
Lo svolgimento della storia è sostenuto da molti intrecci, diversi intrighi, misteriosi delitti, aggressioni, violenze, vendette e da numerosi personaggi, elencati in una pagina che precede il racconto (accorgimento utile). Sono personaggi tridimensionali, a tutto tondo, non piatti, sembra di vederli, di sentirli, ci sono tipi ambigui, reticenti, misteriosi, qualcuno loquace o addirittura pettegolo, discreto o sfuggente e tutti insieme popolano 147 pagine che compongono il libro dando vita al racconto dettato da fatti realmente accaduti. Mediante l’espediente della finzione narrativa che aiuta a comprendere la realtà, mescolando invenzione e mondo reale, Francesco Scoppetta racconta storie vere “manipolandole e con toni cangianti” trascina agevolmente il lettore dentro situazioni inquietanti, dentro una società complessa e preoccupante svelandone comportamenti e atteggiamenti tipici di particolari ambienti del nostro territorio. Introduce fatti imprevisti per rendere più intricata e oscura la vicenda e per lasciare chi legge con il fiato sospeso fino alla soluzione dell’enigma.
Non ricorre mai alla violenza esplicita, non punta sulla paura o sull’orrore per impressionare ma intelligentemente riesce a toccare la molla della curiosità emotiva di chi legge con il pregio della originalità e per questo la storia che ordisce è più avvincente perché non è omologabile. “[…]ci dirigiamo verso Santa Domenica dalle cui terrazze si gode un panorama incantevole sulle isole Eolie. Il cuore mi sussulta quando vicino al Belvedere di Capo Vaticano sento alla radio Celentano cantare Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me. Mi accorgo di non avere più risorse, senza di te. Siamo su un promontorio e guardiamo le spiagge sotto con la sabbia bianchissima. Scendiamo pure alla baia di Grotticelle e camminiamo per vedere le tre spiagge contigue. Fabrizio sembra sia lì, a camminare con me e Brunello. In un posto così bello si può morire senza sapere perché.[…]” . L’esposizione narrativa del testo, ricca di riferimenti culturali e professionali, letteratura, giurisprudenza, cinema, musica, sport che caratterizzano la formazione e la personalità dell’autore, viene condotta in maniera chiara e decisa, talvolta con una sottile traccia ironica, su due piani o meglio a due voci, quelle dei protagonisti che sono una coppia di coniugi, marito e moglie. Lui, Fabrizio Pozzi, ispettore scolastico mandato dal Ministero in una scuola calabrese per: “avviare un’ispezione per verificare se negli atti della scuola frequentata dall’alunna ci fosse traccia di quanto è emerso …”. Lei, la moglie, Sandra Zunino, avvocato, che sollecitata dal vice commissario di polizia, Andrea Satti, torna in Calabria, dopo nove mesi, nei luoghi dove il marito ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita, per ricominciare daccapo le indagini alla presenza di nuovi elementi.
Gli ultimi due capitoli Puntini e Epilogo proiettano il romanzo nel cosiddetto giallo classico-deduttivo dove si dipanano le fila e il lettore trova il bandolo della storia, la soluzione dell’enigma. Certamente il lavoro di Francesco Scoppetta, che ha sempre cercato di capire la realtà che lo circonda, gli avvenimenti e le persone, non è un romanzo sperimentale ma piuttosto rappresenta un esperimento, un primo tentativo, una prova per se stesso per saggiare e misurare le proprie capacità descrittive, le reazioni del pubblico, le risposte dei lettori, le opinioni di amici e non, e potrebbe dare origine sulla falsariga di AZZURRO a un ciclo di narrazioni e a una serie televisiva. Nella quarta di copertina, infatti, si legge che AZZURRO è stato ultimato sotto forma di trattamento cinematografico da cui dovrebbe nascere la scrittura del film. A tal proposito scrivendo di violenza, di violenza senza ragione, l’autore di AZZURRO cita il romanzo di Cormac McCarthy “Non è un paese per vecchi”, che ha ispirato l’omonimo film diventato famoso.
Anche in Italia molti dei film più riusciti e avvincenti traggono spunto dai romanzi gialli pur nelle sue diverse declinazioni perché il mistero e il crimine sono ingredienti preferiti che funzionano sia sulla carta sia sulla pellicola. Il capolavoro di Umberto Eco, Il nome della rosa, un giallo storico- deduttivo che ha ottenuto grandi successi internazionali, la narrativa di Andrea Camilleri e del suo fortunato personaggio, il commissario Montalbano, i film tratti dai romanzi di Giancarlo De Cataldo, i polizieschi di interesse sociologico di Giorgio Scerbanenco, autore apprezzato anche oltre i confini nazionali, che nei suoi romanzi ha narrato la Milano degli anni ’50 e Gianrico Carofiglio, Carlo Lucarelli, Giorgio Faletti, Donato Carrisi, Antonio Manzini, Marco Malvaldi, solo per citarne alcuni, sono esempi per ribadire che l’ambiente italiano, urbano o provinciale, è stato (tranne che nel periodo fascista) ed è materia per gli scrittori di libri gialli. E per andare indietro negli anni il primo romanzo giallo italiano è dell’anno 1888 ed è Il Cappello del prete di Emilio De Marchi, in seguito altri scrittori prenderanno spunto dalla realtà sociale per scrivere i loro romanzi gialli, un esempio per tutti: Quer pasticciaccio brutto di via Merulana di Emilio Gadda, prima pubblicazione 1946 a puntate e poi in volume 1957, ritrae Roma del periodo fascista. Ricorre alla tecnica del giallo anche Leonardo Sciascia che a partire dagli anni sessanta scrive numerosi romanzi polizieschi e a proposito di mettere nero su bianco dice: “scrivere significa sentirsi meglio: quale che sia la materia…c’è l’allegria della scrittura…lo scrivere è sempre un atto di speranza” e voglio credere che Francesco Scoppetta non abbia scritto solo per noia e per caso ma per allegria, per sentirsi meglio, per sperare.
P. S. mentre leggerete questo articolo Francesco Scoppetta avrà completato la seconda edizione di AZZURRO di 234 pagine dal titolo: AZZURRO 2- (I rimuginanti)
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