Le ‘grandi dimissioni’, fenomeno dilagante negli Stati Uniti dopo la pandemia Covid, sono anche in misura meno clamorosa un fenomeno italiano. Si può parlare di fuga dal lavoro stabile o si tratta di un aggiustamento del mercato del lavoro, diventato improvvisamente più dinamico a causa delle grandi trasformazioni in atto?
Non si può che partire dai numeri, per provare a dare una risposta. Le cessazioni nei primi sette mesi del 2022 sono state 3.949.000, in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+31%) per tutte le tipologie contrattuali, dicono i dati dell’Osservatorio Inps sul precariato.
In particolare, sono 1.079.000 per i contratti a tempo indeterminato, a fronte di 855.108 nello stesso periodo del 2021. La variazione è pari a +20,7%. E’ questo dato, che include ovviamente anche i licenziamenti, ad essere più rilevante, se si guarda alle ‘grandi dimissioni’. Per le cessazioni a tempo indeterminato si tratta, con riferimento ai primi sette mesi dell’anno, del valore più elevato dell’ultimo decennio. Va considerato, però, un altro dato, non necessariamente in contraddizione con questo. Nei primi sette mesi dell’anno sono state registrate 874.000 attivazioni per i contratti a tempo indeterminato, che hanno registrato la crescita più accentuata (+33%). Le trasformazioni da tempo determinato nei primi sette mesi del 2022 sono risultate 444.000, in fortissimo incremento rispetto allo stesso periodo del 2021 (+68%). Nei primi sette mesi del 2022 l’insieme delle variazioni contrattuali a tempo indeterminato (da rapporti a termine e da apprendistato) ha raggiunto il livello massimo degli ultimi dieci anni, superando anche il precedente livello elevato registrato nel 2019.
Vuol dire che ci sono le dimissioni ma che c’è anche una spinta a ricollocarsi altrove. Più che abbandonare il lavoro, quindi, cambiare lavoro.
Un caso eclatante, rispetto a questa tendenza, è quello del Monte dei Paschi di Siena. La banca, alle prese con l’ennesima ricapitalizzazione, ha ricevuto 4.125 richieste di esodo anticipato contro le 3.500 previste nel piano industriale e regolate dall’accordo sindacale sottoscritto lo scorso 4 agosto da Fabi, Cisl, Cgil, Uil e Unisin. Incideranno anche le sorti sempre incerte della banca, e la profonda trasformazione delle mansioni del bancario, ma è un segnale in linea con un trend più generalizzato.