Cinquantenario di Lamezia Terme. La Scala: «L’unica celebrazione possibile è quella di una città che rinasce»
Riceviamo e pubblichiamo il contributo/documento inviato dal dottore La Scala agli organizzatori dell’incontro-dibattito sul cinquantenario di Lamezia Terme, svoltosi ieri sera al Caffè letterario del Bar del Popolo, in Sambiase
Il consuntivo dei 50 anni trascorsi dalla fondazione di Lamezia è tutt’altro che lusinghiero. Le problematiche presenti al nastro di partenza non sono state mai affrontate in seno all’Unione e si ritrovano oggi moltiplicate ed ingigantite drammaticamente.
Sotto gli occhi di tutti noi una disoccupazione da primato, il degrado culturale, sociale ed ambientale, criminalità trionfante collusa con politicanti e burocrazia, ed un’economia che si attesta su gradini sempre più bassi di sub-sussistenza.
Una politica priva di qualsiasi lungimiranza e capacità di iniziativa ha inoltre ceduto alla vicina Catanzaro ogni possibile vantaggio territoriale, accettando in maniera imbelle, che la città perdesse irrimediabilmente, occasioni importanti per il suo sviluppo.
Oggi, quindi, Lamezia è sotto scacco per essersi concessa il lusso di 50 anni di colpevole inerzia e in questi giorni rischia addirittura, per la terza volta, il marchio dell’ignominia con l’incombente minaccia di scioglimento e commissariamento dell’amministrazione per infiltrazioni mafiose.
Appare evidente come ci sia soltanto un fallimento senza eguali da celebrare! In occasione del 50°, non resta quindi che rimboccarsi saggiamente le maniche per tentare di tracciare quella strada che, con la massima leggerezza, non fu indicata al tempo della fondazione.
Mettiamo per serietà da parte, per la valutazione in altre sedi, meriti e demeriti dei padri fondatori che pensarono solo al varo e non a dotare la nave di una rotta e di nocchieri esperti. Come è ormai noto, I documenti storici, spesso volutamente sottaciuti, parlano di decisione avulsa dalla volontà del popolo e presa per «salvare la Diocesi di Nicastro» senza possibilità di smentita.
Che fare adesso? Il Comitato, insediato da non si sa chi, si è precipitato ad annunciare i temini per i bambini delle scuole cui fornire le solite informazioni retoriche e menzognere per insegnare il dileggio della Storia. E spari di mortaretti a condimento di altre discutibili iniziative.
Non emerge alcuna seria volontà di ripartire, nessun tentativo di incidere realmente sulle condizioni disperate in cui versa il nostro territorio per risollevarle. Tutto all’insegna di un voler festeggiare fine a se stesso: un baccanale nel bel mezzo di un dramma. Dall’analisi da me condotta, su dati socio-economici aggiornati riguardanti il nostro territorio, risulta invece che esistono ancora spiragli agibili per avviare una possibile ricostruzione, nonostante tutto.
Occorre però saperli riconoscere e trattarli adeguatamente. In sintesi, nel territorio lametino non è mai esistita una grande impresa trainante, non si è mai formato un anello di piccole imprese interattive con competenze specifiche in particolari settori, non si sono mai coltivate e curate mutue conoscenze tecnologiche differenziali rispetto all’esterno, non esistono capacità di affrontare i mercati esterni e di fronteggiare le sfide poste dalla globalizzazione, non si produce reale ricchezza ma si sopravvive solo con apporti provenienti dalla pubblica amministrazione e dalle pensioni.
Le risorse a disposizione si riducono di anno in anno, mancano risparmi da trasformare in investimenti e manca la massa critica di attività economiche che possa lontanamente innescare una pur minima scintilla di sviluppo.
Per contro il territorio conserva ancora degli asset pienamente sfruttabili che non vengono però valorizzati e presenta caratteristiche ambientali e storico-culturali che potrebbero avere importanti sbocchi nei settori agroalimentare e turistico. Tutto questo potrebbe sembrare ovvio e anche arcinoto a chi è abituato a osservare i fenomeni solo in superficie.
Ma un serio approfondimento psicosociologico rivela che il collante che è sempre mancato nel nostro territorio è uno solo: «l’intelligenza collettiva», in tutte le sue più rilevanti sfaccettature ed in particolare in quella che presiede alla coscienza e conoscenza del territorio stesso e delle sue potenzialità.
Non mi dilungo sui meccanismi che rendono questa «intelligenza collettiva» determinante per lo sviluppo di un distretto. In sua assenza non si può nemmeno parlare seriamente di esistenza di una economia, ma di una condizione di mera e stentata sussistenza destinata ad implodere fino al l’immiserimento totale.
Quindi il problema costitutivo più rilevante da risolvere per avviare la nostra economia distrettuale consiste nel come favorire la creazione di questo collante su cui mai nessuno si è fin qui soffermato.
«Intelligenza collettiva» si definisce la capacità e l’alta propensione a spendere e a porre a disposizione liberamente, a beneficio della propria comunità e del proprio territorio, parte importante del patrimonio personale di attitudini e conoscenze. Capacità quindi di confluire e contribuire fattivamente su progetti ed attività comuni e di promuoverle in sintonia con gli altri soggetti della comunità di appartenenza.
In un territorio come il nostro, la prima cosa da fare è proprio quella di trasformare «l’intelligenza personale», unica risorsa presente in abbondanza e dispersa in mille inutili rivoli o regalata all’estero, in «intelligenza collettiva applicata allo sviluppo socio-economico della comunità e del distretto».
Questa risorsa è anche l’unica alla quale si possa economicamente ricorrere nel momento attuale in cui vi è carenza di qualsiasi apporto finanziario esterno ed è anche l’unica che si possa sperare di mobilitare facendo appello alla sensibilità delle fascie di stakeholders (soggetti attivi ed interessati della comunità) che rischiano l’emarginazione o l’espulsione: mi riferisco soprattutto ai giovani.
Occorrerà quindi definire rapidamente un progetto che miri a formare un primo nucleo di «intelligenza collettiva per lo sviluppo del territorio» che generi a cluster altri nuclei finalizzati su obiettivi specifici essenziali per la costruzione di un ambiente favorevole alla crescita economica.
Ho in mente un modello bottom-up per la fertilizzazione dei fattori di sviluppo locale, informato ai più aggiornati principi della teoria economica che, se applicato al nostro caso, potrebbe costituire il primo solido passo verso un ambiente finalmente libero dalle concezioni medievali che attualmente atomizzano e disperdono il nostro brain capital e le nostre capabilities. Solo questo modello, se si avesse volontà di applicarlo, conterrebbe il lievito necessario per il decollo economico del nostro territorio.
Le competenze per l’attuazione di un simile progetto sono reperibili ovviamente soltanto presso qualificati economisti esperti in temi di sviluppo locale e quindi lontanissimi dalla portata di politici tuttologi capaci solo di paralizzare e svuotare di senso ogni iniziativa. Ove si riuscisse a varare questa idea si compirebbe il primo vero avanzamento verso la rinascita di Lamezia, che sarebbe la vera festa per tutti noi.
Sono pronto a collaborare, insieme a qualificati esperti economisti, perché ciò avvenga e propongo come primo atto concreto di rinascita del nostro territorio di creare e distribuire a tutti i giovani di Lamezia un’App che consenta di instaurare sul web un grande movimento di attenzione verso il territorio, verso la sua conoscenza, verso le iniziative possibili per la sua valorizzazione e verso tutte le forme di collaborazione utilizzabili per lo sviluppo economico e sociale della Comunità, realizzando il loro massimo coinvolgimento.
Immediatamente dopo il lancio dell’App si dovrebbe giungere all’istituzione di un organismo permanente che guidi il processo di formazione e crescita dell’«intelligenza collettiva» e ponga le basi concrete per aprire la strada ad un processo di sviluppo autogenerato con le risorse del territorio stesso. È questa l’unica celebrazione possibile: quella di una Lamezia che rinasce. Francesco Gaspare La Scala
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