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11 febbraio 2016

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Contro la povertà si recita ancora a soggetto


Sembra una buona notizia. Il Consiglio dei ministri ha varato il Piano nazionale di contrasto alla povertà, mettendo a regime un provvedimento di sostegno al reddito integrato da misure di attivazione. L’Italia sembrerebbe finalmente entrata nel novero dei paesi civili che offrono ai propri cittadini una rete di protezione di ultima istanza. Peccato che si tratti di una rete piccolissima, sia in termini di copertura, sia in termini di capacità di sostegno.

Gli 800 milioni di euro stanziati per il 2016, per altro suddivisi in due diverse misure (assegno di disoccupazione – Asdi; e sostegno per l’inclusione attiva – Sia) che fanno riferimento a criteri diversi per individuare i potenziali beneficiari, sono solo una piccola frazione dei 7 miliardi circa che le stime più conservative valutano necessari per venire incontro alle famiglie e agli individui in povertà assoluta.

E infatti il governo pensa di poter dare un sussidio solo a 280 mila di quel 1.470.000 famiglie stimate essere in povertà assoluta. Ovvero ne beneficeranno un milione circa di persone (la metà dei quali minori) rispetto ai quattro milioni di poveri assoluti, di cui un milione di minori. Nonostante la platea dei potenziali beneficiari sia costituita da famiglie con almeno un figlio minore – sono escluse quindi le famiglie di soli adulti –, circa la metà dei minori in povertà assoluta non riceverà nessun sostegno dalla misura.

Per operare la drastica riduzione dei potenziali beneficiari, il governo ha definito una soglia di Isee bassissima: 3 mila euro. Anche con questa restrizione, l’importo medio del sussidio sarà molto esiguo, non arrivando in molti casi a coprire la distanza tra il reddito famigliare disponibile e la pur bassissima soglia individuata.

Certo, c’è la questione delle risorse. Ma è innanzitutto una questione di priorità. È stato deciso di eliminare la Tasi sulla prima casa, una scelta che porterà pochi o nessun vantaggio ai poveri assoluti, mentre drena importanti fondi che avrebbero potuto essere loro destinati (l’anno in cui il governo Letta sospese l’Imu sulla prima casa andarono in fumo 4 miliardi).

Gli 80 euro di detrazione fiscale per i lavoratori dipendenti a basso reddito, ma fiscalmente capienti, costano più del doppio di quanto stimato necessario per coprire tutta la platea dei poveri assoluti. Altri interventi a pioggia più o meno di facciata e di utilità scarsa o nulla, come i 500 euro per i diciottenni, avrebbero potuto essere spesi in modo più efficace per contrastare quella povertà minorile che diventa anche indebolimento delle capacità individuali. L’elenco potrebbe continuare.

I rischi
Sul provvedimento del governo manca ancora il decreto attuativo, che dovrà individuare sia i beneficiari, sia come calcolare l’importo da erogare: potrebbe essere in somma fissa, o, come sarebbe più giusto e senza creare ulteriori disparità, una somma commisurata alla distanza del reddito famigliare rispetto alla soglia dei 3 mila euro Isee.

Stante l’insufficienza dei fondi messi a disposizione, il decreto dovrà purtroppo individuare anche criteri per la definizione di una graduatoria tra i potenziali aventi diritto, quindi restringendo ulteriormente il carattere universalistico della misura.

Come è già successo con la sperimentazione della nuova carta acquisti, di cui questo provvedimento rappresenta la messa a regime, c’è il rischio che, di restrizione in restrizione pensata a tavolino, alla fine gli «aventi diritto» diventeranno un numero esiguo, dando ragione a chi dice che i poveri in realtà sono «finti tali» e perciò non dobbiamo preoccuparcene.

C’è anche un altro rischio, connesso alla esiguità delle risorse: accanto alle graduatorie del bisogno, potrebbe valere anche il principio che a venire assistiti siano solo coloro che sono sufficientemente «fortunati» da trovarsi nelle condizioni richieste per essere inseriti in graduatoria nel momento in cui si aprono gli sportelli. Chi, pur avendone i requisiti, fa domanda in ritardo o matura i requisiti necessari in un periodo successivo, rimarrà a bocca asciutta, perché i fondi saranno finiti. A meno che a qualcuno non venga in mente di far «ruotare» periodicamente i beneficiari, con buona pace dell’universalismo, sia pure selettivo, e del sostegno strutturale. Insomma, aspetterei a dire che finalmente in Italia abbiamo una misura strutturale di sostegno al reddito per chi si trova in povertà.
Chiara Saraceno
(www.lavoce.info)


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