La crisi, tutta politica, non è nata tecnicamente da un atto parlamentare, perché il governo ha incassato la fiducia sul provvedimento e, da un punto di vista teorico, sarebbe potuto andare avanti nel pieno delle sue funzioni. La rottura politica, però, c’è stata. Le dure parole utilizzate da Draghi per spiegare in Cdm la sua decisione di dimettersi l’hanno descritta nel dettaglio: “La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più”. Questa valutazione è la ragione delle dimissioni di Draghi. La scelta di Mattarella di respingerle aggiunge un’altra valutazione. La maggioranza di unità nazionale si deve esprimere chiaramente in Parlamento per assumersi una responsabilità esplicita, esprimendo o meno il sostegno al governo. Si tratta di una crisi tecnicamente extraparlamentare che viene portata in Parlamento.
La valutazione di Draghi presuppone la fine dell’esperienza di governo. La valutazione di Mattarella presuppone la possibilità che la maggioranza possa ricostituirsi e ricompattarsi nei prossimi cinque giorni. Non è detto che siano necessariamente due valutazioni contrapposte. O, almeno, se lo sono oggi potrebbero diventare due momenti successivi di una crisi gestita con rigore istituzionale. Anche se nessuno può sapere oggi se ci sono effettivamente le condizioni, politiche e non solo istituzionali, per portare questo governo alla fine della legislatura.
(di Fabio Insenga)