La torre saracena a Tricarico - Foto di Marino Pagano
24 giugno 2017
La torre saracena a Tricarico - Foto di Marino Pagano

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Dai saraceni alle maschere antropologiche, passando per Scotellaro. Tricarico, miniera di ricchezze


Una miniera di ricchezze in ogni dove. Incanti e fotogrammi che odorano di Lucania antica. Questa è Tricarico, perla del materano, cittadina che affascina e richiama per diverse ragioni l’attenzione del viaggiatore più ispirato.

Storia, poesia, fede
La storia che abbraccia i secoli delle dominazioni, tutte, a partire dai saraceni, che qui hanno lasciato tracce importanti, assieme ai normanni.

La poesia, abbracciata alla politica, di Rocco Scotellaro, il sindaco giovane di Tricarico, sindaco poeta. E giovane anche morto, giovanissimo.

La fede della bella cattedrale, di un museo diocesano sontuosamente rinato, di un vescovo illuminato (monsignor Delle Nocche, di origine napoletana), di una storica e potente diocesi, ancora oggi estesissima e nell’arco dei tempi davvero interessante quanto a capacità di catalizzare in questa zona grandi artisti e prestigiose committenze artistiche. Una memoria che resiste, insomma.

Un centro storico, inoltre, non piccolo
Lo capisci vedendo e ammirando Tricarico venendo da Potenza, sì perché Pietrapertosa, area delle Dolomiti lucane, è vicina e così anche l’ancora materana Accettura, meravigliosa terra delle manifestazioni arboree del Maggio. Da qui cogli appieno i diversi crinali su cui maestoso s’erge il centro antico di Tricarico.

Si spiega anche con questa estensione non esigua la notevole ricchezza in termini di contenuti storico artistici. Bello il palazzo ducale, con all’interno un interessante museo civico e archeologico sulle radici arcaiche del territorio (da Serra del Cedro a Civita, ingente anche il patrimonio di siti interessati da scavi).

Più di una le chiese degne di nota, a cominciare da quella del da poco restaurato convento di Santa Chiara, con pregevolissima cripta affrescata nel ‘600, passando poi per il complesso di San Francesco d’Assisi, oggi luogo della memoria legata a Scotellaro, con chiesa però consacrata e attiva (mentre del poeta può ammirarsi anche la casa natale).
Suggestivo poi un santuario mariano tra i boschi.

Ma davvero immancabile è il citato museo diocesano, con in più la cattedrale intitolata a Maria Assunta (mentre San Pancrazio è il patrono). Al museo, assai affascinanti le statue o i busti di alcuni santi, dal finissimo e vivido taglio realistico.

Il vescovo risiede proprio qui, nel palazzo di fronte l’importante tempio cristiano, dove ha sede anche la densa raccolta museale, rinnovata negli spazi ed elegantemente tutelata.
Agganci al volo la storia di questo posto grazie alle porte antiche e alle torri, soprattutto, tra queste ultime, quella bellissima del IX-X secolo, saracena.

Qui si risale verso il paese, attraversando i grovigli dei quartieri arabi di Tricarico, un gioiello incredibile di storia anche urbanistica, luogo ancora aperto al traffico, ma solo rigorosamente per auto di piccola portata.

Lo sguardo, da Tricarico, è ampio
Proprio dalla zona della torre saracena si vive un silenzio di zolle mistiche. Di fronte gusti un panorama assolutamente quieto, rilassante, comunicante i ritmi vetusti di questo territorio.
Colpisce, del piccolo baluardo difensivo, anche il suo rimarchevole stato di salute, notevole considerando il passaggio dei secoli.
Terra brulla d’intorno, la Lucania è già tutta qui.

Terra contadina e di contadini, quella di Tricarico
Non poteva, dunque, che nascere e vivere qui Rocco Scotellaro, il sindaco e l’intellettuale amico degli animi semplici, spesso protagonisti di magre vite di sacrifici. Un socialismo della parola che si fa verso e letteratura. E poi della terra, del sudore della fronte di tutto un popolo: un discorso pienamente sociale e identitario, con l’occhio al cuore della gente umile e vera più che arrancato su sterili posizioni di potere o vacuamente ideologiche.

Il socialismo dei contadini, con il pensiero fisso a loro, più che a Mosca, ai muri, alle sigle incapacitanti. Una figura simile a quella del pugliese di Cerignola Giuseppe Di Vittorio, l’uomo che seppe dire di no a Togliatti nel 1956, in occasione dell’inumana repressione russa della rivolta ungherese.

Scotellaro è tra le voci più alte della Lucania poetica, con Albino Pierro (di Tursi), Carlo Levi (torinese, ma esiliato a Grassano e Aliano, sempre provincia di Matera), Leonardo Sinisgalli (di Montemurro, Potenza).

In altre occasioni, magari, vedremo come, assieme a questi nomi noti, non ne manchino certo altri, forse meno popolari ma altrettanto interessanti in senso letterario.

Lasci Tricarico davvero arricchito
Un giorno tranquillo basta per visitare questo borgo ricco di testimonianze. Inevitabile, però, fermarsi, concepire questo come un viaggio dell’anima, necessariamente anche lento.

Richiedono tempo il museo e il palazzo ducale, idem dicasi un’attenta e ben particolareggiata visione degli affreschi della cappella del Crocifisso, a Santa Chiara, opera di Pietro Antonio Ferro.

Richiede una feconda e ispirata attesa anche la cerca dell’area saracena (o il passaggio sotto gli archi o, ancora, la visita alle altre porte storiche del paese), da trovare con calma, passeggiando per le astruse viuzze del borgo, per poi poter vivere, con acuta emozione, uno straordinario paesaggio, sintesi dell’intervento dell’uomo, relativo soprattutto ad ere in cui la rispettosa prossimità con l’ambiente era un prioritario principio.

Allo stesso modo ci si inchinava di fronte alla produttiva e pacifica convivenza, per quei tempi, dell’uomo con l’animale.

A Tricarico, infine, per il sesto anno consecutivo, a inizio giugno, ha avuto luogo il raduno delle cosiddette maschere antropologiche, in cui si vede nel Carnevale e nei suoi riti l’espressione più popolare di quest’angolo di Lucania. Ci si confronta anche con altre culture, davvero tanti gli arrivi da Italia (Calabria, Molise, Lombardia, Sardegna) e Europa (Slovenia e Spagna, quest’anno).

Gli eventi delle maschere sono legati ai cerimoniali della fertilità: solo uomini vi possono aderire, mimando il fare di mucche e tori, sorta di mandrie in transumanza in cui il partecipante simula l’andatura della bestia, simbolo e rimando a culture ancestrali, evidentemente ancora vive nell’animo profondo di queste terre.
Marino Pagano


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