(dall’inviata Elvira Terranova)- Per anni sono rimasti in silenzio. Hanno preferito stare un passo indietro. Prima Agnese Piraino Leto, la vedova di Paolo Borsellino, poi anche i figli, Lucia, la maggiore, Manfredi e Fiammetta. Cinque anni fa la svolta. Fiammetta diventa una sorta di ‘portavoce’ della famiglia Borsellino. Da quel momento in poi, dal 25esimo anniversario, decidono di fare sentire la propria voce. E da allora Fiammetta Borsellino chiede giustizia. E verità. Lo ha fatto anche pochissimi giorni fa, quando durante la presentazione del libro ‘Per amore della verità’, scritto con Piero Melati, ha usato parole dure. “Ci sono uomini che lavorano per allontanare la verità sulla strage di via D’Amelio. Oggi questa verità è negata non solo alla mia famiglia ma tutto il popolo italiano, il primo a essere stato offeso”, ha denunciato.
“A casa mia – ha detto – da quando è morto mio padre, è entrato chiunque. Ma se all’inizio questa presenza continua era giustificata come forma di attenzione, alla luce di tradimenti e depistaggi, ci ha fatto capire che c’era una forma di controllo, una necessità di una sorta di stordimento. Davanti a una finta attenzione non c’è stato un giusto percorso di verità per noi l’unico modo di fare memoria era attivare un giusto percorro di verità. Invece abbiamo avuto solo tradimenti verità distorte”. Oggi Fiammetta non ci sarà alla lettura del dispositivo. E’ fuori Palermo. Con la sua famiglia. Ci saranno, invece, Manfredi e Lucia Borsellino.
Nei giorni scorsi, Fiammetta Borsellino, ha ribadito: “Diserteremo tutte le manifestazioni ufficiali per la strage di via D’Amelio fino a quando lo Stato non ci spiegherà cosa è accaduto davvero, non ci dirà la verità: nonostante tutte queste celebrazioni si è fatto un lavoro diametralmente opposto su questo barbaro eccidio. Il fatto che oggi qui non ci sia un solo magistrato o un poliziotto o un referente qualsiasi delle istituzioni è molto significativo. Saranno tutti presenti il 19 luglio e ai concerti al Teatro Massimo…”.
Ha criticato apertamente, per la prima volta, anche l’ex magistrato Ilda Boccassini: “Lei non sapeva dire di no alle pressioni di Arnaldo La Barbera. Poi per mettersi il ferro dietro la porta ha scritto una letterina al Procuratore Tinebra. Io dico che se la Boccassini aveva qualche dubbio sul falso pentito Scarantino doveva fare una denuncia pubblica, così è troppo comodo. La Boccassini è quello stesso magistrato che ha autorizzato dieci colloqui investigativi di Scarantino a Pianosa e poi si è saputo che servivano a fare dire il falso a Scarantino con torture e minacce – dice – Ilda Boccassini chiede si colleghi di applicare le norme del Codice perché si rende conto di ciò che fanno, una cosa così grave non la puoi scrivere in una letterina. E darla a un procuratore che poi la mette in un cassetto e la lascia lì. Per me la denuncia è un’altra cosa. La si fa pubblicamente. Come mi ha insegnato mio padre. Io l’ho letto come un mettersi il ferro dietro la porta. Questa non è una denuncia o stoppare un percorso deviato”.
“Abbiamo avuto – ha proseguito ancora Fiammetta Borsellino – magistrati che non hanno fatto le verbalizzazioni dei sopralluoghi nei garage dove Scarantino diceva di avere rubato la macchina. Se fosse stato fatto un verbale ci si sarebbe resi subito conto della inattendibilità di Scarantino che non sapeva neppure come si apriva il garage, se non avessero delegato segmenti di indagine ai servizi segreti, se avessero esercitato quel controllo previsto dalla legge sugli organi investigativi il depistaggio non ci sarebbe stato. Tutto questo non può avvenire sotto gli occhi di chi invece deve controllare e coordinare, cioè i magistrati”, aggiunge. “Se un medico avesse sbagliato una operazione di questo tipo sarebbe stato messo subito alle sbarre, qui invece non si è avviata nessuna indagine, né sul piano disciplinare o penale. E quel poco che si era fatto è stato subito archiviato. C’era la volontà della magistratura di non guardare dentro se stessa, perché si doveva partire da quella frase che disse mio padre quando definì la procura di Palermo ‘Quel nido di vipere'”. Quindi la conclusione: “Mio padre non è stato ucciso solo da Cosa nostra, ma il lavoro di Cosa nostra è stato ben agevolato da persone che sicuramente hanno tradito”.
Nel 2017 anche l’altra figlia, Lucia Borsellino, che oggi vive a Roma, prese la parola. Lo fece davanti al Csm, per chiedere ancora giustizia e verità. “Chiedo in questa solenne occasione che a fronte delle anomalie emerse nel comportamento di uomini delle istituzioni si intraprendano le iniziative per far luce e chiarezza su cosa è accaduto”. Era stato questo l’appello della figlia di Paolo Borsellino, Lucia, rivolto nel corso del plenum del Csm presieduto dal Capo dello Stato. “A 25 anni giustizia non è fatta”, aveva detto tra l’altro. “Mai come adesso è necessario non indulgere nella retorica del ricordo“, disse ancora Lucia Borsellino, visibilmente emozionata. “Il tema della legalità è attuale, ma lo è soprattutto la credibilità delle istituzioni. Gli uomini che le incardinano devono chiedere a se stessi rigore morale” ed è “fondamentale che la responsabilità vada condivisa sempre per evitare l’isolamento e la delega a singole personalità” . “La storia di mia padre è esemplare e noi familiari abbiamo cercato di in questi anni di vivere la dimensione privata del ricordo e del dolore nella convinzione che le istituzioni si impegnassero nella ricerca della verità”. Verità che invece “non è stata trovata e a 25 anni di distanza giustizia non è stata fatta”. In particolare l’esito del Borsellino quater con le anomalie emerse “ci ha profondamente scosso, aggiungendo sofferenza e interrogativi”. Di qui l’appello a che si faccia luce su quello che è avvenuto: “si chieda conto dei comportamenti anomali” ; “prima ancora che con la legge bisogna fare i conti con la propria coscienza”, ha detto ancora la figlia di Borsellino, ribadendo la “fiducia massima” sua e dei suoi familiari nelle istituzioni. Oggi i figli di Paolo Borsellino conosceranno un altro pezzo di verità.