Diritti dei lavoratori in Italia: un Primo maggio per capire a che punto siamo. I numeri delle disparità e della discriminazione
Una data importante che si festeggia ogni anno e che ricorda quello che la nostra Costituzione dice all’articolo 1: l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Il Primo maggio, la festa del lavoro e dei lavoratori, sarà celebrata con il consueto concerto a Roma e con tante manifestazioni sindacali in tutto il Paese. Ma come è messa l’Italia quanto a tutela dei diritti dei lavoratori?
Diritti dei lavoratori: donne discriminate sul lavoro
Ci sono tre parole inglesi che sintetizzano alla perfezione la discriminazione che le donne vivono: il gender gap. Che in italiano possiamo tradurre con differenze di genere, molto più diffuse di quanto si creda.
A dirlo ogni anno è il Global Gender Gap Report del World Economic Forum, che analizza la situazione in 149 Paesi del mondo riguardo a quattro dimensioni tematiche: partecipazione economica e opportunità lavorative, risultati scolastici, salute e sopravvivenza e responsabilizzazione politica.
Stando al Global Gender Gap Report, a livello mondiale la situazione non è così critica per l’Italia. Se l’anno scorso il nostro Paese si trovava all’82esima posizione, essere oggi al 70esimo posto è un balzo in avanti. Un po’ meno a livello europeo: siamo 17esimi, prima soltanto di Grecia, Malta e Cipro.
Non va meglio quanto a opportunità economiche e lavorative: in questo cosiddetto sub-indice siamo al 118esimo posto mondiale con un gap al 59%, mentre in Stati come Islanda e Paesi Scandinavi la percentuale si attesta sul 79% e 80 per cento. Come dire: l’Italia migliora, ma non così tanto da essere al livello dei Paesi del Nord.
Discriminazione sul luogo di lavoro: disparità di reddito
In Italia si sono ridotte le disparità per quanto riguarda il reddito sebbene le donne continuino a guadagnare meno: 28.834 dollari a parità di potere d’acquisto per le prime contro i 50.584 dollari per gli uomini, poco meno del doppio.
Sulla discriminazione sui luoghi di lavoro dà un ulteriore spaccato il Workforce Wiew in Europe pubblicato di recente dalla multinazionale Adp, che si occupa di risorse umane e gestione del personale e che ha riguardato Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito e Polonia.
Se anche questo report conferma che il genere è il motivo di discriminazione più segnalato da almeno una donna su 10, è anche vero che in Italia solo il 30% delle persone intervistate (1.400 in totale) asserisce di avere denunciato tali discriminazioni. Come sappiamo, questo può essere un aspetto positivo o negativo, ma la ricerca in merito non si pronuncia.
Positivo perché il 30% non è sicuramente una percentuale alta, comunque importante, ma potrebbe essere anche inferiore rispetto alla quantità delle donne che subiscono discriminazione e significare che solo il 30% ha avuto coraggio mentre il resto no.
La ricerca, poi, dà spazio alla disparità retributiva e a come viene percepita dai dipendenti:
il 73% lavoratori italiani ha, di contro, dichiarato che sarebbe propenso a cercare un altro impiego se scoprisse che c’è un divario salariale ingiusto nella propria azienda, così come l’85% delle donne ha affermato che se scoprisse di subire una discriminazione simile cercherebbe subito un altro lavoro.
Ma quali sono i motivi della discriminazione delle donne? Il 7% attribuisce il motivo all’aspetto fisico giudicato “non abbastanza”, cosa che colpisce solo il 4% degli uomini.
Disoccupazione femminile stabile, ma lavorano meno donne
In ogni caso, per quanto riguarda il tasso di occupazione quello femminile è ancora un problema. Certo, gli ultimi dati Istat diffusi ad aprile indicano una stabilità per quanto riguarda il tasso di impiego e una diminuzione per quanto riguarda l’inattività (-0,1 punti a febbraio e -0,3 punti su base annua).
Resta però il fatto che il tasso di disoccupazione femminile è dell’11,4% per le donne contro il 9,8% degli uomini. Inoltre, tra i 15 e i 64 anni è occupato il 67,7% degli uomini, contro il 49,5% delle donne.
La discriminazione sul lavoro riguarda anche età e orientamento sessuale
La discriminazione poi non riguarda solo il genere, ma anche l’età: lo ha dichiarato l’8% del campione intervistato nella ricerca della multinazionale.
Sembra che l’età migliore per stare in un posto di lavoro sia quella tra i 35 e i 44 anni: solo il 6% di chi rientra in questa fascia si sente discriminato. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare vista la fatica che molti over 50 fanno per rientrare o restare nel mondo del lavoro.
L’età influenza ancora di più le donne. Chi è tra i 30 e i 40 anni viene ancora vista come “propensa a metter su famiglia” e come tale o non agevolata sul lavoro o addirittura non assunta.
I datori di lavoro, infatti, continuano a vedere la maternità come un problema e quello di una donna che non può essere contemporaneamente mamma e lavoratrice resta un luogo comune difficile da smantellare.
Un altro motivo di discriminazione è l’orientamento sessuale, sottolinea la ricerca, sebbene non sia così pregnante: solo il 4,6% degli intervistati si sente discriminato per il proprio orientamento sessuale, più le donne (6%) che gli uomini.
L’Italia sembra invece fare dei passi in avanti per quanto riguarda le discriminazioni in materia di religione e nazionalità: le percentuali, secondo lo studio, sono rispettivamente dell’1,4% e del 3 per cento.
Altro male dell’Italia resta il precariato. Stando ai numeri di Eurostat diffusi lo scorso novembre 2018, in cui vengono conteggiati anche i contratti part-time, il Paese europeo precario per eccellenza è la Spagna, mentre l’Italia pare cavarsela un po’ meglio: si trova al decimo posto con una percentuale del 15,5%, comunque al di sopra della media europea che è del 14,3 per cento.
Sulla situazione del precariato va ancora più in dettaglio l’Osservatorio sul Precariato dell’Inps che di recente ha comunicato i dati per quanto riguarda i primi 2 mesi del 2019. Sono aumentati i contratti a termine trasformati in tempo indeterminato (+82,2%), mentre diminuiscono, anche se di poco (-1,1%) gli apprendistati che fanno “la stessa fine”.
Risultano in crescita i contratti a tempo indeterminato (+6,5%) e quelli di lavoro intermittente (+7,3%), mentre sono in diminuzione i contratti di somministrazione (-36,9%) e i contratti a tempo determinato (-15,0%). Sostanzialmente stabili le altre tipologie di contratti.
Su questi numeri, evidenzia l’Osservatorio, ha influito l’esonero triennale strutturale per le attivazioni di contratti a tempo indeterminato per i giovani fino a 35 anni (Legge n. 205/2017).
Quanto alla cosiddetta prestazione occasionale – quella che è non può superare i 30 giorni l’anno e un massimo di 5 mila euro – è stabile rispetto al 2018 (17 mila unità) e l’importo mensile risulta essere pari a 237 euro (arriva a 250 euro per i lavoratori pagati con i titoli del Libretto di Famiglia).
Diritti dei lavoratori in tema di sicurezza
In Italia si muore ancora o sono aumentate le condizioni di sicurezza? Stando ai dati Inail diffusi nel gennaio 2019, nel 2018 ci sono state più di 641 mila denunce avvenute per infortuni sul lavoro, quasi 6 mila in più rispetto allo scorso anno.
Denunce che riguardano incidenti che avvengono sul posto di lavoro, ma sempre più rilevanti sono quelle in itinere – ossia nel tragitto che si fa da casa al lavoro e viceversa – cresciuti del 2,8%.
E la situazione non migliora certo per quanto riguarda gli esiti mortali che sono stati 1133 contro i 1029 del 2017. Sono maggiori gli incidenti “plurimi” ossia quelli che hanno visto la morte di due o più lavoratori nello stesso evento. Genova con il crollo del ponte, ma anche i 2 incidenti stradali che ci sono stati in Puglia con i 16 braccianti deceduti.
Da non trascurare – anche se se ne parla meno – le malattie professionali, ossia quelle che scaturiscono dal lavoro che si fa: + 2,5% rispetto all’anno precedente. Protagoniste dell’aumento, ancora una volta, le patologie muscolo-scheletriche (36.637 denunce) e le sindromi del tunnel carpale.
E se è vero che ogni anno il 28 aprile si celebra la Giornata mondiale della sicurezza sul lavoro e che quest’anno ricorre in occasione dei 100 anni dall’istituzione dell’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro), questi dati evidenziano che ancora di strada da fare ce n’è per evitare di parlare di morti sul lavoro e garantire davvero la sicurezza in ogni contesto e qualsiasi lavoro si faccia. (Fonte Global Gender Gap Report)