Il Gran Caffè di Amalfi
12 aprile 2016
Il Gran Caffè di Amalfi

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Don Peppe ed il mistero delle monache


Nel mio paese, ad Amalfi, vi era l’abitudine per noi giovani, da una certa ora in poi, di sederci la sera innanzi al Gran Caffè, davanti al solito tavolino e così senza nulla consumare, perché eternamente in bolletta, si attendeva che il resto della compagnia, dopo mezzanotte, si ricomponesse, per passare felicemente ancora tutti insieme le prime ore della notte. Sistemati in cerchio e tutti con una buona voglia di divertirsi, ognuno, in modo esagerato e con enfasi, si metteva a raccontare i momenti salienti della giornata, narrando gli scherzi messi in atto, il tentativo di abbordaggio andato a vuoto, un pettegolezzo di rilievo, oppure notiziava la conquista fatta e le intenzioni strategiche che intendeva attuare per il giorno seguente.

Però, a notte fonda, non mancava mai qualche sonnambulo, ovviamente già saggiato in altre serate per la sua simpatia, il quale, sapendo che lì vi era la solita cricca di nottambuli impenitenti, prendeva posto festosamente tra quelli che lo avevano invitato ad accomodarsi e che argutamente, per il divertimento di tutti, lo avevano sollecitato a narrare qualche episodio piccante della vita passata.
Così, felice di essere stato bene accolto, si posizionava sulla sedia più centrale al gruppo e tra un applauso generale e le diverse battute d’invito, cominciava lo spettacolo e la rappresentazione del teatrino amalfitano.

In genere, nei pressi del gruppo e del tavolino, vi era sempre la presenza promiscua di stranieri, i quali, svegliandosi dal sonnecchiamento dell’ora tarda e non disdegnando il chiasso di quel momento con il piacere di godersi la comitiva e quel simpatico personaggio, partecipavano con grande euforia e gioia all’avvenimento serale. Ebbene una sera fu invitato nel nostro gruppo Don Peppe, un anziano e vecchio amico di mio padre, il quale, avendo inteso che si stava parlando di donne, ad un tratto, ovviamente sempre sollecitato, cominciò a narrare una storia che aveva personalmente vissuto durante l’ultima guerra.

Così cominciò a raccontare simpaticamente che nel 1943, come tanti italiani, era in Calabria a fare la guerra ed era addetto con un camion militare a fare i rifornimenti di viveri e di armi tra Decollatura, che è un piccolo borgo della Presila e Catanzaro, che è il capoluogo. Durante una delle sue scorribande, insieme ad un suo commilitone, fu fermato lungo la strada da due suore che con tanta gentilezza ed affabilità avevano chiesto un passaggio per Catanzaro. Cavallerescamente Don Peppe e l’altro soldato, all’epoca giovani e belli, felici di poter fare una buona azione, subito si fermarono, e così, dopo averle aiutate a montare nella gabina del mezzo militare, immediatamente ripartirono.

Dopo gli usuali e rispettosi convenevoli misto all’imbarazzo che inizialmente una persona estranea di solito crea, l’atmosfera si ruppe quando si parlò della guerra e quando in coro cominciarono a cantare liberamente e scherzosamente canzoni fasciste. Però, sulla strada sconnessa e a causa dello sballottamento del veicolo, le due suore nelle curve accentuavano l’appoggio sui due militari, cui seguiva nello stesso tempo qualche ingenua e poco involontaria toccatina.

A questo punto Don Peppe cominciò ad avere qualche dubbio sulla loro vera identità, perché alcuni comportamenti e le risate che le due suore esternavano avevano poco di serietà monacale. Mentre scherzavano e ridevano, Don Peppe, che era alla guida, ad un tratto sentì il rombo di un aereo che si avvicinava e che cominciava a mitragliare a bassa quota. Ebbe subito la prontezza di nascondere il camion sotto a certi provvidenziali alberi e facendo saltare, con una velocità supersonica, tutti dal veicolo, all’unisono si nascosero più distanti sotto un folto boschetto. Però in attesa che il velivolo si allontanasse, i due militari, in segno di protezione e temendo che le stesse potessero essere colte dal panico, tennero ben serrate a terra le due suore, senza farle muovere.

Ma pian piano questo abbraccio protettivo cominciò ad andare ben oltre, per cui da una carezza all’altra, da un palpeggiamento all’altro, le due suore si resero immediatamente disponibili ad offrire il loro corpo ai due poveri militari. Quando la romantica favola ebbe fine, tutti ripresero l’interrotto viaggio arrivando a Catanzaro felici e contenti di essere giunti sani e salvi, nonché grati nei confronti dell’aereo militare inglese che col mitragliamento li aveva mandati inconsapevolmente in estasi.

Intanto, tutti attorno al tavolo, ognuno voleva sapere notizie più dettagliate sull’incontro avuto, mentre altri si chiedevano se la storia raccontata fosse stata realmente vissuta, oppure se era stata frutto della fantasia e della paura di quel momento.

Don Peppe, ricordando quell’incontro e vivendo ancora con un pizzico di compiacimento e di soddisfazione quei momenti, assicurò con grande serietà ai presenti che la storia era stata fedelmente raccontata.
Poi, ad un certo punto, dopo una breve pausa, a conclusione del racconto, assicurando gli astanti che pur sembrando strana la storia che aveva raccontato era vera, disse: «Io ancora a distanza di anni mi chiedo se erano due “zoccole” (in dialetto napoletano la zoccola richiama il ratto delle fogne che è particolarmente prolifico) travestite da suore, o due vere suore che si erano comportate come due vere zoccole».
Angelo Di Lieto


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