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5 aprile 2016

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Dopo oltre mezzo secolo torna in libreria «L’azione umana» di Mises


Ci sono voluti più di cinquant’anni perché un capolavoro del pensiero economico del Novecento potesse tornare a essere disponibile al pubblico italiano. È del 1959 infatti la prima traduzione italiana di L’azione umana di Ludwig von Mises, esponente di spicco della Scuola Austriaca di Economia e maestro di personaggi del calibro di Friedrich A. von Hayek e Murray Rothbard che oggi torna in libreria per i tipi di Rubbettino nella storica collana ammiraglia «Biblioteca Austriaca» con un saggio introduttivo di Lorenzo Infantino.

L’azione umana può essere considerata la maggiore opera di Ludwig von Mises. È stata scritta negli Stati Uniti d’America, dove l’autore, in fuga dal nazismo, è stato accolto come esule politico. Costituisce il momento culminante di una lunga riflessione, tramite cui viene data risposta ai più rilevanti problemi della vita sociale.

A Mises è toccato vivere contro il proprio tempo. Ha dovuto affermare le ragioni della libertà in un contesto storico-sociale in cui le correnti ideologiche dominanti hanno portato al comunismo, al nazismo e all’aggressione dello Stato di diritto mediante un diffuso interventismo politico. Mises ha avuto sempre chiara l’idea che la cooperazione sociale si può svolgere in forma volontaria o in forma coercitiva. Anche se promettono il contrario, i programmi politici che impongono la cooperazione coercitiva restringono o sopprimono la libertà individuale di scelta. Il potere totale non produce la libertà totale; genera il dominio totale.

Il totalitarismo comunista si basa sul monopolio della conoscenza e su quello delle risorse. E parimenti fa il nazismo. In questo caso, non c’è la formale abolizione della proprietà privata. Ma essa viene di fatto soppressa. È lo Stato a determinare ciò che si deve produrre e quel che si deve consumare, a stabilire i prezzi, i saggi salariali e i tassi d’interesse. Il che non solo impedisce la libertà individuale di scelta. Conduce anche, non diversamente dall’economia pianificata, alla più completa inefficienza: perché il regime competitivo, reso possibile dal mercato, viene sostituito dalle decisioni dell’apparato pubblico.

La società libera viene inoltre aggredita dall’interventismo politico, che viene giustificato con l’idea che ci possa essere un sistema economico «terzo» rispetto all’economia di mercato e a quella pianificata (in forma sovietica o nazista). Ma non esiste una «terza via». Se lo Stato interviene nel rispetto delle regole del mercato, la sua attività non è diversa da quella svolta dai privati. Se lo Stato interviene violando le regole del mercato, ciò non significa che siamo in presenza di un sistema economico «misto».

Accade solamente che le perdite subite dalle attività poste in essere dalla mano pubblica devono essere sopportate dal settore privato. C’è una distruzione di risorse, che determina una caduta della produttività e del prodotto. E ne viene fuori un aumento del «tasso di sfruttamento» della stragrande maggioranza della popolazione da parte del ceto politico e dei gruppi da esso favoriti. Gli stessi effetti vengono generati dalle manipolazioni monetarie dei governi, che producono sovraconsumo e cattivi investimenti e che culminano nella crisi e nella disoccupazione generalizzata.


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