“La probabile vittoria della destra italiana lascia presagire dei rischi ma non una deriva dell’estremismo”. E’ il titolo di un editoriale di Tony Barber, ex corrispondente in Italia del Financial Times e responsabile Europa del quotidiano britannico, sul voto nel nostro Paese, che dovrebbe aprire la strada a Giorgia Meloni come prima premier donna. Ma la leader di Fdi si ricordi che la maggior parte dei presidenti del Consiglio dal dopoguerra non sono arrivati alla fine del mandato.
“La vittoria prevista dagli exit poll per la destra è, in un certo senso, una pietra miliare per l’Italia e per la democrazia europea. Ma ci sono forti motivi per mettere in discussione l’opinione, occasionalmente espressa fuori dall’Italia durante la campagna elettorale, secondo cui il risultato prefigura una deriva verso l’estremismo”, scrive Barber. Che ricorda come “sotto la Dc, la destra abbia dominato i governi italiani durante la guerra fredda. A partire dagli anni ’90, ha continuato ad avere il sopravvento per gran parte del tempo, grazie soprattutto al partito Fi di Silvio Berlusconi. Ma questa è la prima elezione in cui un partito con radici neofasciste, Fratelli d’Italia, emerge come la forza più forte a destra e nel Paese nel suo complesso”.
L’editorialista del giornale britannico osserva ancora come “la Meloni abbia ottenuto il suo trionfo su una piattaforma nazionalista e conservatrice che deve molto di più alle formule che hanno portato al successo le coalizioni di Berlusconi che a qualsiasi politica associata all’Msi”. Secondo Barber, “questo non vuol dire che non ci siano difficoltà: la Meloni ha solo una minima esperienza di governo e i suoi colleghi di partito ancora meno. La fama internazionale di Mario Draghi ha amplificato la voce dell’Italia ai tavoli della Nato e dell’Ue. Il nuovo governo farà fatica a ottenere lo stesso rispetto”. La conclusione del quotidiano è che la leader di Fdi “ha la sua chance perché ha condotto una campagna elettorale efficace e si è distinta come l’unico leader di partito significativo a non aver aderito al governo di unità nazionale di Draghi. Ma saprà che la maggior parte dei primi ministri italiani dal secondo dopoguerra non è mai riuscita a portare a termine un intero mandato di cinque anni, cadendo invece preda di intrighi politici e perdita di autorità. Se le cose andranno diversamente per la sua premiership, questo potrebbe essere il suo più grande risultato”.