Si preannuncia di fuoco il vertice di centrodestra di oggi a Montecitorio sui nodi della premiership e dei collegi uninominali. Districarsi tra le pieghe e le trappole del Rosatellum non è facile per nessuno, figuriamoci per una coalizione, di fatto spaccata dai tempi del Mattarella bis, ma ricompattata dal voto anticipato dopo la caduta del governo Draghi e costretta alla coabitazione forzata per vincere le elezioni del 25 settembre. C’è innanzitutto la questione della regola del ‘chi ha più voti si prende palazzo Chigi’, introdotta alle precedenti politiche del 2018 e oggi messa in discussione, più o meno apertamente, da Fi e Lega di fronte alla prospettiva di Giorgia Meloni premier, favorita dai sondaggi che la danno tra il 23 e il 25 per cento. Per evitare lo scontro frontale in queste ore si starebbe pensando addirittura di rinviare il confronto su questo tema divisivo a dopo le urne o di ricorrere a un escamotage: prima del voto ognuno propone il suo candidato premier e poi si vede.
Quanto all’altra gatta da pelare, il risiko dei collegi, qui la questione è più complicata, perché ci sono più incognite: la quota del 33% ripartita tra Lega Fi e Fdi, raccontano, non sarà accettata dai meloniani, che fanno valere il loro ‘primato’ di consensi secondo le ultime rilevazioni. Non solo, ma poi c’è il problema dei centristi: in un primo momento si era parlato di Udc e Noi per l’Italia considerati in quota Fi, poi le cose sono cambiate e sembra che sia Lorenzo Cesa che Maurizio Lupi siano intenzionati a presentare il loro simbolo per non stare sotto il ‘cappello di Forza Italia’.
Senza contare poi il rischio per i ‘piccoli’ del centrodestra di incappare nella tagliola dell’1 per cento: l’attuale legge elettorale prevede che se un partito non raggiunge questa quota, i voti presi vengono considerati ‘dispersi’. Da qui la proposta, spuntata nelle trattative delle ultime 48 ore, di dar vita a una federazione, tra Lega-Fi e i centristi, per fare blocco, ma a quel punto, assumerebbe i contorni di fatto di un’alleanza vs Meloni, che potrebbe ulteriormente ingarbugliare il quadro politico.
Non solo: Brugnaro, fondatore di Coraggio Italia, che farà? Il sindaco di Venezia, atteso all’incontro dei leader, ha sempre tifato Draghi ed è rimasto su questa linea dicendolo apertamente agli alleati. Una posizione, quella pro Draghi senza se e senza ma, rivendicata anche da Giovanni Toti, che però non è stato invitato al summit. Ora Brugnaro avrebbe due strade: far rientrare i suoi collegi in quota Fi Fdi o Lega, oppure, raccontano, dar vita a una sorta di quarta gamba moderata coinvolgendo tutte le forze di centro che vogliono restare nel perimetro del centrodestra. A complicare le cose, anche le tensioni interne a Fi, che continua a perdere pezzi: oggi è andata via la deputata Rossella Sessa, considerata vicina a Mara Carfagna che presto formalizzerà il suo strappo, aderendo al gruppo Misto della Camera.