Gas, l'Europa prova a superare il caso Germania
30 settembre 2022

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Gas, l’Europa prova a superare il caso Germania. Ma è troppo lenta


L’accelerazione solitaria della Germania sul gas resta un caso. E il tentativo di superarlo, archiviando le mosse tedesche come una legittima politica nazionale, si scontra con la realtà: la risposta della Ue è troppo lenta e rischia di essere poco efficace. Anche dalle parole ufficiali traspare il nervosismo che da giorni si percepisce a Bruxelles. Per contenere i prezzi dell’energia in Europa “dobbiamo agire ora. Le aspettative dei cittadini sono alte e non possiamo deluderle”, sintetizza il ministro ceco dell’Energia Jozef Sikela. I ministri, racconta, “hanno chiesto rassicurazioni sulla tempistica” delle proposte della Commissione Europea. E anche la commissaria all’Energia Kadri Simson si dice “d’accordo con i ministri: dobbiamo fare di più“.

Il fattore tempo resta un’incognita difficile da decifrare. Siamo ancora nella fase dell’analisi, quella che precede la proposta e che poi arriva a una decisione. I ministri dell’Energia dei Paesi energivori dell’Ue, responsabili per circa l’80% dei consumi, riferisce il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, “stanno lavorando” per “mettere insieme dei bullet point” sulle misure necessarie a contenere il prezzo del gas importato nell’Ue destinati alla Commissione, affinché possa proporre misure concrete per contrastare i rincari del metano.

La spiegazione tecnica sulle modalità di definizione del tetto al prezzo del gas vengono prima della decisione politica di farlo, che non è stata ancora presa. Si ragiona ancora per ipotesi. Si pensa, dice Cingolani, ad un “range di prezzo“, per cui ci sia “sempre una variazione, seguendo le leggi di mercato”, ma senza che questa variazione “vada totalmente fuori controllo”. Un’ipotesi è quella di “indicizzare il costo del gas a qualcosa di diverso dal Ttf”, ovvero il Title Transfer Facility, il mercato all’ingrosso del gas naturale con sede in Olanda che è il benchmark europeo per il metano. Si potrebbe far, osserva, “una media di alcuni grandi indicatori, come l’Henry Hub”, il benchmark Usa del gas naturale (uno dei future sul gas più scambiati al mondo, che prende il nome dall’interconnessione dei gasdotti di Erath, in Louisiana), “il Brent”, il greggio del mare del Nord che è il riferimento europeo e altri indicatori.

Sulla discussione di oggi aleggiano comunque le conseguenze della posizione della Germania. Da una parte ci sono le valutazioni formali. La Commissione Europea è “ben consapevole” delle “difficoltà” provocate dalla “attuale crisi energetica” negli Stati membri ed è “pronta a valutare nella maniera più rapida possibile la compatibilità delle misure energetiche adottate in questo contesto”. Un giro di parole che serve ad anticipare che la Germania, regole alla mano, può sostenere la propria economia piò o meno come vuole. Resta la sostanza, ovvero che a Berlino si è scelto di non aspettare Bruxelles e di non contribuire a trovare una soluzione condivisa, in tempi rapidi, a livello europeo.

“Capisco l’irritazione. Ma in fondo quello che fa la Germania fanno anche gli altri, l’Italia, la Francia. La Germania però è più forte dal punto di vista fiscale. In ogni caso di tratta di politica sociale. E si tratta di energia, che è comunque di competenza degli stati nazionali”. E’ il commento di Daniel Gros, direttore del Ceps, Centro per gli studi politici europei. Un’analisi tanto netta quanto significativa. A oggi chi ha più spazio fiscale trova le soluzioni, chi ne ha meno aspetta tempi migliori. E anche se Cingolani tiene a sottolineare che “non ci sono assolutamente” tensioni con Berlino, non è esattamente questo l’approccio ideale per scommettere su un’Europa unita e solidale. (di Fabio Insenga)


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