GIUDIZI UNIVERSALI 3.1: LE CRONACHE DI AMADEUS di Gianlorenzo Franzi’
ALLERTA SPOILER: QUESTO ARTICOLO E’ SCRITTO PRIMA DI CONOSCERE LA CLASSIFICA PARZIALE DELLA PRIMA SERATA DI SANREMO VENTIVENTITRE
Adesso ci siamo, ora abbiamo capito: ci sono voluti quattro anni ma finalmente è chiaro.
Amadeus ha definitivamente trasformato il Festival nel Festivalbar. E lo diciamo con tutto l’amore possibile per l’evento musicale dell’estate di noi boomer: e con tutto il favore possibile per questa mutazione.
Ormai neanche stiamo a parlare della frangia oltranzista che ancora crede sia rivoluzionario dire che non vede -e/o non ha mai visto, una possibile variazione sul tema- Sanremo; tiriamo una riga e andiamo oltre, perché Amadeus ha saputo lentamente cambiare il volto di una manifestazione che al di là della perenne vittoria di ascolti era invecchiata male, irrigidendosi in formati musicali pericolosamente ingessati.
Se già Claudio Baglioni nelle sue due ottime edizioni aveva mostrato cosa si poteva fare con questo giocattolone, Ama ha rotto silenziosamente e una volta per tutte gli schemi: tra una critica e uno scandalo ha portato la musica che gira in radio sul vetusto palco dell’Ariston, vestendolo dei colori che girano sui social e avvicinando il pubblico proibito a Sanremo, ovvero gli under 30.
Cos’è successo la prima serata.
Annunciata da una bagarre comunicativa massiva, la puntata si apre con Roberto Benigni che saluta il presidente della repubblica Mattarella, figura istituzionale per la prima volta in sala, con il suo (solito) monologo sulla Costituzione. Il rischio del già sentito è dietro l’angolo, ma stavolta il piccolo diavolo riesce anche ad emozionare con un discorso realmente toccante contaminato dall’attualità più stretta, prodromo alla già discussa presenza di Zelensky nella futura prossima ultima serata.
La gara vera e propria si apre però con una delle interpreti più controverse ma anche, incontrovertibilmente, più intense della musica italiana, Anna Oxa.
Assente non solo dal Festival ma anche dalla scena musicale da un decennio, eccetto sparute comparse nei programmi saltellando tra Rai e Mediaset concluse sempre con litigi e querele giudiziarie; la Oxa dopo quel capolavoro che è stato Proxima (2010) si fa accompagnare ormai da un management/non management, fuori dal giro che l’ha portata fuori dal mercato musicale. Senza un’etichetta, senza un produttore. Eppure.
Sali (Canto Dell’Anima) è una canzone straordinaria: il progresso naturale di Processo a Me Stessa (ultima canzone portata al Festival nel 2006, sottovalutata e bellissima, scritta da Panella, ermetica e dolorosa) che unisce le vibrazioni e i contenuti new age dell’artista 2023 ad un tappeto ritmico che ricorda la Oxa degli anni Ottanta. La voce è quella di sempre, anzi di più quando arriva su note così’ alte che sembrano impossibili; l’interpretazione non smette di essere suadente, morbida e cazzuta insieme. Voto: 9
Se la signora è alla quindicesima partecipazione -con due vittorie-, Mostro è invece il debutto all’Ariston di gIANMARIA (si scrive proprio così, e non so perché), ex concorrente di X-Factor. Probabilmente non sarà la sua cosa peggiore, ma la canzone soffre molto della pronuncia in corsivoe del ragazzo lombardo, idolo di tante ragazzine e autore dell’accattivante Saliva; brano che non punta sicuramente a nessun piazzamento, ma suonerà molto in radio. Voto: 6.
Marco Mengoni arriva quotato tra i vincitori, e il suo Due Vite è in effetti il pezzo sanremese per eccellenza: note morbide, una voce potente che si impenna quando deve, un interprete apprezzato dalla critica e dal pubblico che cerca una seconda consacrazione. Poi vabbè, la canzone è quella che è, e scorre via come lacrime nella pioggia. O come il sudore sotto quella tuta in latex. Voto: 6
Ariete: dopo gIANMARIA, la quota giovane da Festivalbar mette in campo autori come Dardust e Calcutta per un pezzo indi che si candida ad essere falso indi. Il carisma forse l’ha dimenticato a casa, ma lei è forte e ha un pubblico denso tra la Generazione Z che apprezzerà la sua Mare Di Guai. Voto: 5
Quattordici cantanti sono già tanti (e altrettanti la seconda serata). Ma certo il tempo per lo show si trova: Gianni Morandi, co-conduttore sotto tono (capiamolo e perdoniamolo: classe 1944), accenna le sue canzoni peggiori alla chitarra -ma davvero, le peggiori-, Chiara Ferragni, prima co-conduttrice, fa capire a tutti che fare la conduttrice non è proprio il suo mestiere; Piero Pelù sembra l’emblema di uno show che, finora, si è dimostrato asfittico.
Sono le 22.36 e siamo al quinto cantante in gara: e i rigori di un freddissimo inverno non possono lenire il pieno sapore del più estivo Festivalbar quando arriva Ultimo con Alba. Anche lui uno dei favoriti, probabilmente il suo fandom lo porterà in alto nella classifica finale: eppure lui farebbe quasi tenerezza quando alza e abbassa la tonalità e usa (male) il suo insospettabile vocione, se solo la canzone non fosse così brutta. Voto: 2
Ci pensano però i Coma-Cose ad alzare, e di molto, il tiro musicale di questa prima serata: L’Addio ha una metrica densa e preziosa, con quelle loro voci così perfettamente dissonanti, e una melodia sfuggente e battente. Voto: 8
Breve parentesi con un grado di emotività altissima è l’ospitata dei Pooh: che suonano un medley dei loro successi per dare appuntamento al live evento del 6 luglio, reunion dei quattro Facchinetti, Canzian, Battaglia e Fogli, e per ricordare in un finale (con una Uomini Soli, vincitrice nel 1991, eseguita in maniera vibrante e accolta da una lunga standing ovation) Stefano D’Orazio.
Sono le 23.30 e siamo all’ottavo artista, la Elodie che nell’anno appena trascorso si è scoperta anche ottima attrice e che porta Due: e per quanto lei abbia solo un pugno di canzoni alle spalle, pure belle per carità, l’esecuzione sembra la replica di mille altre. E la cantante stessa neanche si sforza per far sentire la sua bella voce. Voto: 5
Ci doveva pensare la Ferragni a dare una scrollata ad una serata un po’ sonnacchiosa: torna in scena in fascia protetta con un vestito che, tra le urla e lo sbigottimento, sembra trasparente e lascia vedere chiaramente le sue nudità. Ma lei precisa, con la sua voce che potrebbe essere l’incubo di qualunque pubblicitario, che in realtà è solo un disegno del suo corpo la trasparenza la imita (per non dimenticare: Christian De Sica, sempre sia lodato, lo aveva già fatto nel 1982 in Borotalco di Verdone senza fare ‘sto cancan). Pericolo cessato? No, perché con quella stessa voce legge una lettera -che non stentiamo a credere essere stata scritta di suo pugno- che declina un femminismo così patinato da far sembrare Giorgia Meloni una rivoluzionaria. Una lettera che vorrebbe essere manifesto di femminismo intersezionale, prospettiva politica che abbraccia molteplici lotte contro tutte le oppressioni possibili, senza imporre una gerarchia fra di esse ma rivendicando la specificità di ognuna. Ma poi sentiamo quella voce. Oltretutto, con quel tocco di innegabile simpatia in più che dà la pesantissima inflessione ambrosiana.
Però una cosa la insegna: come essere egoriferita anche quando si cerca di essere sociale.
Sarà l’abitudine di essere sempre solo social?
Scatta la mezzanotte: e arrivano i veri brividi. Torna Blanco (che in apertura li aveva invocati, i Brividi con Mahmood e la canzone vincitrice di Sanremo 2022) per suonare il nuovo singolo: ma un problema tecnico gli porta via l’audio in cuffia. E lui che fa? Smette di cantare perché dice che non riusciva e pensa bene di spaccare i fiori e i vasi sul palco, prendendoli a calci per un minuto buono.
Il pubblico rumoreggia, Amadeus da bravo padrone di casa sdrammatizza -ed ecco che torna prepotente l’anima da Festivalbar- ma il giovanotto di 19 anni, con un solo album all’attivo e dodici tracce, con espressione stolida continua a dire che voleva divertirsi, anche mentre il pubblico giustamente inveisce al gesto. Gli Who stanno già ridendo. E anche i Placebo. Ma per capirci: Gianni Morandi (che alla fine dell’esibizione puliva i fiori strappati) che a Blanco je spiccia casa quando nel 1972 portava a Sanremo Vado a Lavorare le cuffiette non le aveva perché non esistevano. Chi vuole, faccia un confronto tra la sua intonazione e quella di Riccardo Fabbriconi.
Ma quanto è invece davvero rivoluzionario salire sul palco con una tutina fatta di lustrini, zeppe di venti centimetri, una canzone scritta da La Rappresentante di Lista e un nome come I Cugini di Campagna? Lettera 22 è una canzone insospettabilmente bella, una melodia da anni Ottanta con un ritornello di dance contemporanea. Voto: 8
Dopo di loro, ci riprova anche Leo Gassman, con Il Terzo Cuore: che è una canzone educata e carina, romantica e innocua, che ha bei momenti di voce e chitarra e si apre giocando con vuoti e pieno. Voto: 6
Certo tutti si aspettavano che a fare follie non fosse Blanco ma il caro Gianluca Grignani. Il quale invece si limita ad arrivare in scena con una voce inadeguata e anzi assente per una canzone bella e intensa come le power ballad del suo primo periodo: in effetti è lì che lui vuole tornare disperatamente. Quando ti Manca il Fiato potrebbe essere il suo viatico per riacciuffare il successo sfuggitogli tra le mani. Voto: 6
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