#GIUDIZI UNIVERSALI: CRONACHE DAL FESTIVAL (quinta puntata) di Gianlorenzo Franzì
Anche i giornalisti hanno un’anima: mancano solo poche ore al termine della finale, e occorre sbrigarsi a fare un pronostico prima che cali il Sipario sulla 71sima edizione di Sanremo. Un pronostico che tiene conto, nelle speranze, di una delle classifiche stranamente più equilibrate degli ultimi anni, quella provvisoria della quarta serata, che ha premiato Willie Peyote, Arisa, i Maneskin (con un inaspettato quinto posto per un rock poco consueto su quel palco). Un pronostico che vorrebbe la medaglia d’oro su Arisa -probabile, visti i precedenti- o a La Rappresentante di Lista: e un posto importante per Colapesce & DiMartino, Madame, Willie Peyote e ancora i Maneskin.
Tempo comunque di bilanci: un Festival che sembra durato un anno, mentre sono stati semplicemente quattro giorni. Certo, con una durata spropositata, considerando che mettendo insieme tutte le serate si ha la durata di 25 ore (sic!!). Cinque serate che hanno dimostrato, se ce ne fosse bisogno, che parte integrante di uno spettacolo dal vivo è il pubblico; che hanno fatto coincidere Peyote che cantava “Riapriamo gli stadi ma non teatri né live
“Magari faccio due palleggi, mai dire mai” con l’annuncio del nuovo dpcm che manteneva le chiusure fino al 6 aprile; che ha visto sfilare Francesco Pannofino durante l’esibizione de Lo Stato Sociale per elencare le attività ancora chiuse; e che soprattutto sono state le serate più commentate nella storia sui social, prova che nonostante tutto o forse proprio per questo Sanremo si conferma un fenomeno di costume. Quindi a poco sono servite, e anzi poco senso hanno avuto, le solite polemiche sui cachet che in questo 2021 hanno trovato terreno ancora più fertile considerando la situazione emergenziale. Polemiche che stavolta hanno avuto il sapore di una guerra intestina: perché in un mondo normale non sarebbe dovuto accadere di sentire e leggere gli stessi operatori dello spettacolo sperare in una chiusura anche dell’Ariston, visto che gli “altri” teatri mantengono le porte chiuse. Come se non sapessero che dietro il baraccone scombiccherato del Festival ci sono tantissimi lavoratori, e quindi famiglie, e un introito economico non indifferente. Come se non fosse un discorso boomerang.
Ma il discorso sembra diventare impegnato: siamo qua per dare i numeri, senza prenderci troppo sul serio. Come dicono bene e per sempre in MUSICALEGGERISSIMA: “Metti un po’ di musica leggera / Nel silenzio assordante / Per non cadere dentro al buco nero / Che sta ad un passo da noi, da noi / Più o meno
Rimane in sottofondo / Dentro ai supermercati / La cantano i soldati / I figli alcolizzati / I preti progressisti / La senti nei quartieri / Assolati / Che rimbomba leggera
Ripensi alla tua vita / Alle cose che hai lasciato / Cadere nello spazio / Della tua indifferenza“. L’insostenibile (e necessaria) leggerezza dell’essere.
Tornando ai voti. Diamone un altro pó, quisul rush finale.
Amadeus che dice alla Vanoni “quando vuoi possiamo cantare”, interrompendo un insensato discorso della maschera che fu la cantante di UNA RAGIONE DI PIÙ: 8. Farla cantare è stato un atto di carità che farà onore nell’alto dei cieli agli organizzatori.
Francesco Renga 10 (0?): dopo un’affannosa rincorsa, l’ex bella voce -e ex è usato sia per bella che per voce- dei Timoria è riuscito a sorpassare di volata Gió Evans per il titolo di peggior canzone di Sanremo dal 2000 ad oggi.
Manuel Agnelli 9,5: il modo in cui investe con il suo carisma l’universo mondo, dal pubblico a Damiano David dei Maneskin, brillando di luce propria e valorizzando tutti gli altri è un superpotere. Pensiamoci fra un anno, quando dovremo eleggere il prossimo Presidente della Repubblica. E poi AMANDOTI dei CCCP su quel palco, in quel modo, è un regalo che non tutti meritano. Ma lui è magnanimo e ci dona lo stesso la sua grandezza.
Pinguini tattici nucleari 8: cantare Battisti con e per Bugo è più suicida di interpretare un attore etero e proletario per Ozpetek. Accettano la sfida, fanno un arrangiamento di percussioni ottimo, anche scenograficamente, e la portano a casa. Bugo alla fine sembrava persino un cantante.
Lo stato sociale 4: bello, per carità, l’appello per i lavoratori dello spettacolo e i luoghi di cultura chiusi e che rischiano di non riaprire. Ma c’è ancora bisogno, dopo un anno, di retorica giusta ma troppo facile?
Samuele Bersani: 9. Non solo perché ha dato il nome a questa rubrica. Non solo perché ha scritto due o tre delle più belle canzoni della musica italiana. Ma perché ha avuto il coraggio e la follia di umiliare Amadeus in diretta. Dopo il duetto con Peyote, lui lo definisce amico, il cantautore gli risponde “Ma veramente l’ultima volta ci siamo visti in Corea nel 1995″. Battuta quasi pythoniana.
Random 2: ragazzo fortunato è chi sta su quel palco senza meritarlo (o meritandolo troppo perché è la fotografia perfetta della mediocrità necessaria ad eccellere all’Ariston). Arrangiamento imbarazzante, Random ne azzecca quante le fan theory su WANDAVISION. Neanche abbastanza brutto da entrare nel mito.
Coma Cose 4: qello che inquieta dei due è il look da gemelli siamesi, li immagini tenere un profilo di coppia sui social, avere due water nello stesso bagno, gli sguardi che si scambiano hanno il romanticismo dei serial killer. Che per carità, quella tra Rosa e Olindo è una grande storia d’amore, ma non li vorresti mai come vicini di casa.
Umberto Tozzi 10: 124 anni per gamba e tira degli acuti che abbatte l’Ariston, usa il falsetto senza inciampare mezza volta, non sbaglia una nota che sia una.
Vittoria Ceretti 2: chi? Dopo Matilda De Angelis e Elodie, lei era una vittima predestinata. La tattica per sopravvivere è quella giusta, la mossa dell’opossum. Fingersi morta. Ci riesce benissimo.
Ermal Meta: 1: numero uno, genio. Io ci sto, facciamo come con Francesco Renga, rispolveriamolo una volta all’anno all’Ariston. La sua performance conferma che il suo unico talento è piacere alla gente che piace. Che, come si sa, non piace a nessuno, in realtà.
Negramaro 0: quanto è doloroso e inarrestabile il declino di chi ti ha fatto ballare e cantare fino a cadere a terra stremato. Si prova lo stesso disagio come dopo aver sentito la Vanoni che non riesce più ad aprire le labbra. Tutto scorre, purtroppo.
La Mia Liguria 0: difficile pensare a spot promozionali più brutti e volgari. Promuovere la Liguria negli intermezzi pubblicitari del Festival non dovrebbe passare dall’insulto al Festival stesso e ad un’omofobia strisciante e sottile e per questo ancora più pericolosa.
Orietta Berti 10: prima le conchiglie sui semi, poi vuole cantare con i naziskin. Mano, partita e vittoria.
Achille Lauro 6: ha detto che di notte non dorme perché deve scrivere. Probabilmente lo fa ad occhi chiusi. Ad ogni modo, è passato in un batter di ciglia da essere uno sperimentatore a un ottimo esperto di marketing (che già era). L’assenza di memoria storica e la voglia di incasellare chiunque fanno il resto.
Giovanna Botteri 0/10: a parte che sembrava paradossalmente più affascinante con i capelli grigio topo e il viso disequilibrato struccato piuttosto che con una tinta perfetta e orecchini fashion. È incredibile come da quel palco le sue parole abbiano perso peso e valore, basta una giacca di lustrini a nascondere la bellezza della verità. I
Arisa: 10. Senza motivo. Ma ad una con una voce così la applaudi a scatola chiusa.
Le pagelle sanremesi finiscono qua. Ma non i Giudizi Universali, che visto il gradimento torneranno ogni volta che in TV si presenterà qualcosa di divertente, o imbarazzante, o bella da essere presa in considerazione come Francesco Gabbani che a cantare dopo la Vanoni con le gote gonfie sembra anche avere una bella intonazione.
Se vedrete dopo queste parole una classifica finale, sappiate che è un’aggiunta a posteriori: chi scrive si è addormentato pensando a Barbara Palombelli che dava un decisivo scossone al maschilismo tossico italiano.
Ma ha resistito cinque serate eroicamente, vogliategli bene.
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