“Le crisi di governo, in Italia, sono fenomenologicamente molto varie e ciascuna di esse è caratterizzata da elementi particolari e senza precedenti. In questo caso, l’anomalia è tutta giocata su due fronti: da un lato il Movimento 5 stelle, che decide di non votare la fiducia e di considerarsi ugualmente all’interno della maggioranza, continuando a far parte del Governo; dall’altro il metodo “presidenzialista” o decisionista del nostro Presidente del Consiglio che ha messo tutti davanti ad un out-out in maniera forse condivisibile, ma poco flessibile alla luce della nostra tradizione: tutti dentro in maniera chiara oppure l’esperienza di governo finisce qui”. Ne parla con l’Adnkronos Marco Olivetti, professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università Lumsa di Roma, che definisce “la pretesa del M5s, oltre che contraddittoria, anche fortemente scorretta da un punto di vista costituzionale. Ma è consentita perché non c’è rimedio per sanzionarla a parte le dimissioni del governo, dato che non è possibile licenziare i singoli ministri”.
“Nella posizione dei 5 Stelle c’è una ambiguità fondamentale rispetto alla logica del nostro governo parlamentare in cui la logica è o dentro o fuori (o, al limite, appoggio esterno, ma con modalità pre-definite). Del resto la loro è una realtà originale rispetto alla storia precedente e non c’è da meravigliarsi che abbia generato anomalie – commenta – C’è la pretesa di un partito di stare in un governo ma di non votare più la fiducia, un gesto senza precedenti dal dopoguerra, a parte – ricorda il giurista – la decisione del gruppo dei bersaniani di non votare la fiducia sulla legge elettorale del governo Renzi. In quel caso si trattava però di una corrente, non di un partito”.
Secondo Olivetti, la particolarità di questa crisi è il conflitto tra “la logica di un partito che non si fa incasellare nelle regole ed un presidente del Consiglio senza un partito proprio, fatto anomalo in un governo parlamentare, che però pretende disciplina ed ordine forte da parte dei suoi sostenitori ed alleati. Messi insieme, sono due dati potenzialmente esplosivi, il riflesso di ciò che il sistema politico è diventato e dell’ingovernabilità del Parlamento fin dall’inizio della legislatura; nonché lo specchio delle contraddizioni profonde del nostro sistema politico-istituzionale, fatto di partiti debolissimi, però sempre “signori” del sistema e di istituzioni (come la Presidenza della Repubblica o la Presidenza del Consiglio) che acquisiscono più spazio, ma che senza partiti organizzati si rivelano inefficaci. Pertanto, se tra i due versanti non ci saranno cambiamenti andremo ad elezioni anticipate”.
Olivetti non ha dubbi: “La soluzione migliore sarebbe la ricomposizione piena del quadro attuale per andare avanti fino alle elezioni, altrimenti la chiamata alle urne. Purtroppo, però, in caso di no di Draghi, conoscendo il modo di ragionare dei politici italiani, non credo che prevarrà la soluzione del voto entro settanta giorni dallo scioglimento delle camere, dunque a inizio ottobre, perché ci sono tanti fattori in gioco: le pressioni internazionali, i vitalizi parlamentari….Potrebbe invece farsi strada l’idea di un governetto guidato da Franco, Amato o Cartabia, con il compito di far approvare in Parlamento la legge di bilancio. E sarebbe la soluzione peggiore, ridicola nello scenario internazionale. Non ha senso – conclude il costituzionalista – avere un presidente del Consiglio per 5 mesi”.
(di Roberta Lanzara)