“Mercoledì – il giorno in cui Draghi e la ‘sua’ maggioranza si confronteranno in Parlamento – appare come un giorno quasi lontano. Una manciata di ore per disputare quelli che i commentatori hanno classificato come i tempi supplementari, l’ultima occasione per capire se e come la maggioranza si potrà ricomporre, se e come il governo potrà riprendere il suo faticoso cammino verso l’epilogo della legislatura.
Per ora governa lo stallo, il vero signore e padrone di queste ore. C’è stallo tra i partiti, e dentro i partiti. Tra quelli che ancora sperano che le elezioni si possano tenere alla scadenza naturale della prossima primavera, e quelli che invece si dispongono ad una campagna anticipata. Tra quelli che fanno appello alla pazienza del premier e quanti danno ragione alla sua impazienza -e dunque all’irrevocabilità delle sue dimissioni. Tra quelli che danno per scontato che gli schieramenti siano quelli di oggi e quelli che scommettono su scenari più fantasiosi o più avventurosi. Tra quelli che invocano una sorta di (improbabile) lieto fine per la disputa in corso e quanti danno per scontato che la disputa sia già conclusa e si appellano ormai al voto degli elettori.
Ma soprattutto c’è stallo tra e dentro le forze in campo. Da un lato le forze, chiamiamole così, populiste che hanno vissuto l’avvento di Draghi a Palazzo Chigi come un’usurpazione, o almeno come un commissariamento. E dall’altro i partiti più di sistema che gli hanno affidato le redini con animo più disponibile e fiducioso. Una disputa che ha attraversato questo tratto di legislatura come una sorta di fiume carsico, ora affiorando polemicamente e ora invece più prudentemente inabissandosi.
E infine c’è stallo dentro il M5S, affidato alla periclitante mediazione di Giuseppe Conte che s’è trovato al bivio tra quel tanto di spirito istituzionale (assai scarso, a dire il vero) che gli suggeriva di adempiere agli obblighi della governabilità e l’opposto richiamo della foresta d’una volta, laddove risuonavano le proteste e le certezze che quattro anni fa erano state all’origine di un successo elettorale che prometteva esiti migliori.
Nessuna di queste partite si potrà chiudere in parità, è ovvio. Dato appunto che di qui a mercoledì o si imboccherà il viottolo della risalita del governo che c’è o si precipiterà verso la ripida discesa che conduce alle elezioni autunnali. Un’alternativa che pone l’intero sistema politico italiano davanti allo specchio delle sue irregolarità e deformazioni.
Il fatto è che la crisi di governo sta per così dire dentro una più grande crisi di sistema che ci avvolge da alcuni anni a questa parte. E la crisi di sistema sta a sua volta dentro una crisi di civiltà che riguarda a questo punto il significato e il valore della contesa politica costretta a confrontarsi con le inquietudini di un mondo in ebollizione. Tre crisi una dentro l’altra al modo delle bamboline russe -le matrioske- che ci ricordano il contesto non proprio sereno in cui ci ha precipitato l’aggressione all’Ucraina.
Saranno Mattarella e Draghi a decidere le sorti di questa vicenda. L’uno con lo spirito istituzionale che lo ha guidato lungo i tornanti di questa difficilissima legislatura. L’altro con il suo carattere nobilmente impolitico che lo fa oscillare tra il dovere di adempiere a un mandato difficile e il diritto (e anche il dovere) di valutare se per quel mandato ricorrono ancora le condizioni.
Verrebbe la tentazione di descrivere come stallo anche il confronto sotterraneo tra il capo dello Stato e il capo del governo. Salvo il fatto che la loro partita non si potrà chiudere se non in parità. E dunque dovranno guidarla, insieme, o verso un supplemento di pazienza o verso una accorata, pur se implicita, denuncia dei mali del nostro sistema”.
(di Marco Follini)