Non dite ai giovani italiani parole come “lumi” per occhi o “mesto” per triste: rischiate di non essere compresi. “Il lessico della tradizione poetica italiana – dice all’Adnkronos Paolo D’Achille, presidente dell’Accademia della Crusca – si è conservato praticamente immutato da Dante e Petrarca fino a Leopardi, qualcosa D’Annunzio, l’ultimo grande autore legato a questa tradizione è Umberto Saba. Oggi però questo lessico effettivamente è più o meno uscito dallo stesso linguaggio poetico e quindi anche dalla competenza passiva dei giovani”, evidenzia. Dovrebbero impararlo a scuola, avverte il presidente della Crusca, “leggendo le poesie dei secoli passati, ma questa lettura è sempre meno frequente”.
A riprova, cita il caso di una studentessa delle medie che, leggendo il verso ‘siede con le vicine sulla soglia a filar la vecchierella’, aveva interpretato ‘filar’ come l’atto di guardare, ignorando il significato tradizionale. Il problema, spiega D’Achille, è che tutto lo studio, traduzioni comprese, è fatto sul presente e la letteratura del passato è trascurata: “Cosa che è grave -rimarca ancora il professore – perché tra l’altro è un lessico molto presente nei libretti d’opera, le opere vengono eseguite in tutto il mondo in italiano, quindi nei conservatori stranieri studiano anche questo italiano della tradizione per capire quello che poi dovranno andar a recitar cantando, qui da noi un po’ meno: questo rischia di metterci in una posizione di inferiorità rispetto ai cultori dell’opera all’estero”.
Da ‘odiosamato’ di Alfieri a ‘Ornella’ di D’Annunzio: tutti i neologismi creati nella tradizione
I grandi poeti italiani, prosegue D’Achille, oltre a mantenere la lingua della tradizione sono anche stati onomaturghi, cioè inventori di parole. “Dante ne ha inventate tantissime – dice – ma pensiamo a una che ha inventato Vittorio Alfieri, ‘odiosamato': una parola ossimorica per cui si prova anche adesso tanta attrazione, D’Annunzio? A lui si devono tantissimi vocaboli, sottolinea il presidente della Crusca: scudetto, velivolo, Rinascente. “Ha pure inventato nomi propri – aggiunge – Ornella non esisteva prima che inventasse D’Annunzio il nome di questo personaggio per la figlia di Iorio”. Ma la poesia era allora un modello per la lingua, rimarca D’Achille, poi la letteratura lo ha perso per una serie di motivi, “se ne accorgeva già bene Pasolini dicendo che sarebbe arrivato l’italiano funzionale, con più contenuti che non aspetti poetici”.
Leggere più poesie per scriverne di più belle.. e meno naif
I giovani, continua D’Achille, certamente fanno ancora poesia ma non la fanno più rispettando quei modelli della tradizione poetica italiana. “I modelli -rimarca il presidente dell’Accademia della Crusca – della poesia fatta meglio: chi scrive poesie farebbe meglio a leggerne prima – dice – altrimenti rischia di scrivere poesie naif che lasciano il tempo che trovano“. Oggi, prosegue ancora, si guarda ad autori contemporanei, “magari anche in traduzione e quindi con uno sdoganamento di brutte parole: una poesia di carattere diverso rispetto a quella tradizionale, però a volte anche con risultati riusciti”, chiosa D’Achille.
I ragazzi ripartano da…Dante
Qual è il poeta che potrebbe avvicinare di più i giovani alla poesia? “Voglio essere controcorrente – risponde D’Achille – a mio parere se fosse letto e spiegato bene, in Dante c’è tutto: ci sono tutte le tematiche dell’uomo, certo quello medievale, ma come tutti i classici si superano anche i tempi. Si parla anche della sofferenza, della speranza, delle ambizioni, della potenza, diciamo pure delle possibilità dell’uomo di oggi”.
Gli italiani usano più parole del vocabolario rispetto a qualche decennio fa
D’Achille rassicura comunque che un tempo si usavano in generale molto meno parole italiane “perché si parlava in dialetto”. C’è una parte di lessico comune a tutta Italia che è in espansione, afferma, “le parole in diminuzione sono quelle legate a oggetti che non si usano più: mangianastri, giradischi”. C’è stato poi un cambio, aggiunge il presidente dell’Accademia della Crusca, legato alla tecnologia che ha lasciato molte tracce. “Faccio un esempio: prima nelle stazioni quali erano i nomi dei treni? Avevamo il rapido, che era quello più veloce, il direttissimo, il diretto, l’accelerato, ecco tutti questi nomi non ci sono più perché abbiamo soltanto il frecciarossa, l’alta velocità, l’intercity: insomma sono cambiate anche molte terminologie”, afferma D’Achille.
I neologismi fanno breccia… ma non nella vita quotidiana…
Diversi neologismi sono entrati nella nostra lingua, afferma il presidente dell’Accademia della Crusca. “I neologismi si suddividono in tre categorie principali,” spiega, “quelli formati da prefissi e suffissi che danno vita a parole nuove, i neologismi semantici, che attribuiscono nuovi significati a termini già esistenti, e infine i neologismi esogeni, ovvero parole prese da altre lingue”. Questi neologismi si manifestano soprattutto in ambiti come l’economia, lo sport, i nuovi sport emergenti, lo spettacolo, la musica, in particolare le nuove tendenze giovanili, il costume e la moda. Un settore particolarmente influenzato è anche quello della tecnologia e dell’elettronica, che genera continuamente nuovi termini. I settori che resistono? “Le parole della vita quotidiana – afferma- a meno che l’oggetto non finisca nel dimenticatoio, insomma, pantaloni ha soppiantato calzoni ma termini come camicia è difficile che scompaiano” (Ape)