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8 aprile 2016

Prima pagina

Il figlio di Riina a «Porta a Porta». L’ira di Fnsi e Usigrai «Non può esserci par condicio tra mafia e antimafia»


Il clamore suscitato dalla decisione della Rai di trasmettere l’intervista al giovane Riina durante la puntata di «Porta a Porta» non accenna a placarsi. Ne hanno parlato politici, giornalisti, intellettuali, singoli cittadini e associazioni. E anche Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) e Usigrai (Unione sindacale giornalisti Rai), dopo una prima nota in cui chiedevano l’intervento dei vertici dell’azienda di viale Mazzini, sono tornate sulla vicenda.

«Le dure prese di posizione delle più alte autorità istituzionali e di molti esponenti del mondo politico sulla decisione della Rai di mandare in onda la puntata di “Porta a Porta” con l’intervista al figlio di Totò Riina», scrivono segretario generale e presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, e il segretario dell’Usigrai, Vittorio Di Trapani «sono la conferma che quella dell’azienda è una scelta scellerata che mina gravemente la credibilità e l’autorevolezza del servizio pubblico radiotelevisivo».

Secondo il sindacato dei giornalisti esiste il rischio di trasformare le trasmissioni Rai in un salotto della criminalità: «Annunciare la messa in onda di una puntata dedicata alla lotta alla mafia», spiegano Fnsi e Usigrai «è un rimedio peggiore del male perché non può esistere una par condicio, né possono esistere punti di vista fra mafia e antimafia, come invece afferma l’azienda. Viene semmai da chiedersi come mai il servizio pubblico radiotelevisivo non si sia mai preoccupato di spalancare i propri salotti ai tanti, troppi giornalisti minacciati dalla mafia e costretti a vivere sotto scorta».

La libertà di informare, la ricerca dello scoop o di un punto in più di share non bastano a spiegare la decisione, contestata con forza anche dalla Commissione parlamentare antimafia, che ha convocato presidente e direttore generale della Rai per un’audizione urgente sulla vicenda, dal presidente del Senato, Pietro Grasso, che ha anticipato via Twitter il suo rifiuto di guardare la trasmissione, da Maria Falcone, sorella del giudice ucciso da Cosa Nostra.

E se la presidente Maggioni dalle colonne di Avvenire chiede allo Stato di sequestrare i diritti del libro di Riina jr, il vicepresidente della commissione Antimafia, Claudio Fava, scrive su Facebook che lui l’intervista l’avrebbe fatta fare a «uno delle decine di giovani e bravi cronisti che gli amici di Riina minacciano ogni giorno di morte e di scomunica, che sono costretti a vivere sotto scorta, che fanno questo lavoro per quattro euro ad articolo».

Mentre don Luigi Ciotti sul sito di «Libera» osserva che «se si può comprendere che un editore, allo scopo di profitto, non si faccia scrupoli a pubblicare testi di questo genere, altro conto è quello di uno spazio come quello televisivo, maggior ragione se alimentato in quanto pubblico da un canone, che dovrebbe fornire un’informazione che aiuti la crescita culturale del paese, che non offenda la sensibilità degli italiani onesti e soprattutto la dignità e il dolore delle famiglie di persone che per il bene comune hanno sacrificato la vita».
(Fonte: Fnsi)


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