Marco Minniti, ministro dell'Interno
16 settembre 2017
Marco Minniti, ministro dell'Interno

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Il ministro Minniti ha chiuso oggi all’Unical la tre giorni del «Cantiere Calabria»


«Sono contento di parlare con i miei corregionali. E lo sono anche perché, mai come oggi, i destini dell’Italia e della Calabria sono così profondamente intrecciati. La seconda ragione per cui sono contento è che noi calabresi siamo come le minoranze etniche: molto coesi quando siamo fuori e meno coesi quando siamo in Calabria».

Ha esordito così il ministro dell’Interno Marco Minniti, nel suo intervento che, oggi all’Unical, assieme a quello del presidente della Giunta regionale Mario Oliverio, ha chiuso la tre giorni del Cantiere Calabria.

«Dobbiamo fare uno sforzo«, ha proseguito Minniti «e passare dall’identità della minoranza etnica alla volontà di rappresentare un pezzo grande dell’Italia. La Calabria è l’Italia e l’Italia è la Calabria. L’iniziativa di questi tre giorni è molto importante. Ci sono stati i vertici della Regione, della società calabrese, delle grandi aziende italiane, c’è stata una delegazione di Governo molto qualificata. Insomma, la Calabria è stata al centro, per tre giorni, di una discussione che aveva naturalmente, come obiettivo la Calabria».

Facendo riferimaento alla storica questione meridionale, Minniti ha poi affermato che il paradigma secondo cui il Mezzogiorno ha bisogno dell’Italia, si è ormai rovesciato perché, oggi, un’ Italia che cresce non può fare a meno del Mezzogiorno e della Calabria.

«Non ci sarà», ha detto «una crescita stabile e strutturata nel nostro Paese se il Mezzogiorno e la Calabria non saranno parte integrante di questa crescita», e ancora «l’Italia non può pensare ad una politica mediterranea se non c’è il Mezzogiorno e la Calabria, che ha una collocazione geopolitica straordinaria. Siamo al centro del Mediterraneo.

Secondo Minniti, il destino della Calabria è quello di essere ponte naturale tra l’Europa e l’Africa, che costituirà, nei prossimi quindici anni, la vera questione con la quale dovrà confrontarsi l’intera Europa.

«Se l’Africa sta bene, l’Europa starà bene, se l’Africa sta male, l’Europa starà male». «Perciò non pensiamo alle nostre piccole cose, dobbiamo pensare in grande. Fino a quando prevarrà l’idea che è più importante guardarsi l’ombelico invece che guardare nell’occhio l’altro, è chiaro che la partita sarà al limite dell’impossibile».

Riferendosi all’intervento del presidente Oliverio, il ministro ha affermato che «si tratta di un bilancio della fase di ricostruzione molto attiva perché i dati che ci ha dato Mario sono particolarmente significativi. Da oggi parte la fase della realizzazione che deve tenere insieme due parole chiave: lavoro e legalità».

Parlando poi del timore che si ha di parlare di ‘ndrangheta perché significherebbe «indebolire la Calabria», il ministro dell’Interno ha ribadito la necessità, invece, che parlarne per poterla «combattere e sconfiggere, è un atto d’amore per la Calabria».

In questo contesto, riferendosi, ai nove miliardi di euro di risorse da investire, Minniti ha detto che rappresentano una sfida straordinaria: «Dobbiamo lavorare, con impegno e passione perché neanche un euro di quei soldi possa finire in corruzione ed in mafia». Anche in questo, «se la Calabria dimostrerà che si possono spendere i soldi presto e con trasparenza avrà vinto una battaglia nazionale».

Minniti, nel parlare del porto di Gioia Tauro, ha affermato provocatoriamente che non è «un’infrastruttura calabrese ma italiana, europea e mediterranea», sottolineando, così, la valenza internazionale del porto e, nell’avviarsi alle conclusioni, ha ribadito che per realizzare certi obiettivi la politica «deve operare senza pensare al consenso. L’obiettivo è quello di pensare ai calabresi, creando lavoro e sviluppo per la Calabria».

Riferendosi ai giovani, Minniti ha sottolineato la necessità che: «Dobbiamo cominciare a ragionare dentro il Cantiere Calabria sui giovani “cervelli” calabresi, per evitare che vadano via e per creare le condizioni affinché una parte di quelli che se ne sono andati possano tornare».

«Non dobbiamo avere paura», ha concluso il ministro «dell’innovazione. Non dobbiamo avere paura di mettere in campo gente che può anche essere migliore di noi».


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