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31 ottobre 2015

News

Il rapporto dell’Oms non tiene conto degli stili di vita


«Se c’è una “colpa” nello studio dell’Organizzazione mondiale della sanità, è quella di non tenere conto degli stili di vita e delle peculiarità di consumo nei diversi Paesi. Ma così si rischia di penalizzare un settore strategico, e peraltro già in forte sofferenza, come quello della zootecnia. Tanto più che in Italia il consumo di carni e salumi è metà della soglia di rischio indicata dalla stessa Oms».

Lo afferma il presidente nazionale della Cia (Confederazione italiana agricoltori) Dino Scanavino, in merito al rapporto Oms che ha valutato la cancerogenicità del consumo di carne rossa e carne trasformata.

Secondo le ultime stime, il consumo annuo di carne in Italia oggi si attesta al di sotto degli 80 chili pro capite, di cui 21 chili per carne bovina; 37 chili per carne suina; 19 chili per carne avicola e poco meno di 2 chili per carne ovina. «Questo determina che il consumo di carne nel nostro Paese», spiega Scanavino «sia molto al di sotto delle soglie di rischio dell’Oms: gli italiani mangiano in media 2 volte la settimana 100 grammi di carne rossa e appena 25 grammi al giorno di carne trasformata. Ma vi è un altro elemento che non è stato considerato, le carni italiane sono tutte di altissima qualità, non sono trattate con ormoni e sono ottenute nel rispetto del benessere animale e dei rigidi disciplinari di produzione delle Doc».

Per contro, la zootecnia vive una crisi fortissima e solo grazie all’export il comparto delle carni e dei salumi Made in Italy, che vale 30 miliardi e dà lavoro a circa 130 mila persone, sta reggendo la congiuntura negativa.

«E’ anche il caso di notare», osserva Scanavino «che gli oncologi italiani hanno affermato, a fronte delle dichiarazioni dell’Oms, che mangiare carne due volte alla settimana e alimentarsi in modo equilibrato con i salumi di qualità italiani, non ha alcun effetto sulla salute, anzi. Va inoltre considerato che in Italia ci sono oltre 600 diversi salumi, che sono espressione della biodiversità e della varietà del nostro Paese».

«Del resto, ricorda il presidente nazionale della Cia, non è la prima volta che si colpisce la zootecnia e il settore dell’allevamento con allarmi ingiustificati, almeno per l’Italia: successe con la Bse, la cosiddetta mucca pazza, accadde con l’influenza aviaria: una psicosi che determinò il crollo del settore avicolo senza nessuna evidenza scientifica».

Ecco perché «vogliamo evitare che tutto questo si ripeta oggi. Come agricoltori siamo impegnati a offrire ai consumatori cibo sano e di qualità e oggi sentiamo la necessità di rinsaldare quel legame fiduciario garantendo i nostri prodotti. Semmai l’Oms dovrebbe vigilare sull’uso di mangimi di dubbia qualità, su stili di consumo che nulla hanno a che vedere con l’Italia. Vi è un richiamo da parte dell’Oms alla dieta mediterranea: giusto, ma s’ignora che Spagna e Italia sono anche i Paesi con la maggiore produzione e il miglior consumo ad esempio di prosciutto crudo. Per questo chiediamo sia al Mipaaf che al ministero della Sanità di riaffermare, oggi più che mai, la qualità e la salubrità dei nostri prodotti e del nostro regime alimentare. Quel regime alimentare che è possibile grazie all’impegno e al lavoro delle imprese agricole che rischiano di essere ingiustamente penalizzate da questa campagna di nuovo allarmismo».


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