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3 novembre 2015

News

In crescita l’home restaurant ma urge regolamentare il settore


L’universo degli home restaurant, con ben 7 mila cuochi social attivi, ha fatturato in Italia, nel 2014, 7,2 milioni di euro. E il trend, in questo 2015, è destinato a crescere. Lo scorso anno sono stati organizzati ben 37 mila eventi social eating andati a buon fine, con una partecipazione di circa 300 mila persone. Ed un incasso medio stimato, per singola serata, pari a 194,00 euro.

Questi alcuni dei numeri che emergono dal report realizzato dal Centro studi turistici (Cst) per Fiepet Confesercenti.

Si moltiplicano i servizi per trasformare le proprie case, terrazze, giardini in ristoranti dove appassionati di cucina propongono le loro specialità a turisti, avventori o semplici curiosi, trattati come ospiti personali però paganti. Il web è l’ecosistema degli home restaurant: dai social ai siti del proprietario dell’abitazione alle piattaforme dedicate al social eating, canali privilegiati per la promo-commercializzazione degli eventi. Tra le più diffuse a copertura nazionale: Gnammo.com, Le Cesarine, Peoplecooks.com, Eatwith.com, Vizeat.com e Kitchenparty.org. L’età media dei 7 mila cuochi social è di 41 anni, ed il 56,6% degli appassionati è donna.

Con le loro proposte enogastronomiche sono ben radicati in tutto il territorio nazionale ma Lombardia (16,9%) Lazio (13,3%) e Piemonte (11,8%) sono in testa tra le regioni in cui il fenomeno appare più diffuso. Milano si aggiudica, nel 2014, il primo posto tra le città in cui risiede la maggior parte dei cuochi social, con una quota pari all’8,4% del totale. Nel capoluogo lombardo si trova, infatti, il Ma’ Hidden Kitchen Supper Club, uno dei più noti e di maggior successo home restaurant d’Italia. Mentre Roma raggiunge il secondo posto con l’8,2% dell’offerta. La realtà di riferimento nella capitale è Ceneromane.com, portale che aggrega in tempo reale gran parte delle proposte social eating dell’area. Con una quota del 5,6%, Torino è la terza città più «social eating» in Italia nonché sede di Gnammo, la piattaforma che ha contribuito a diffondere il fenomeno in tutto il territorio nazionale. Uno dei tre co-founder della start-up torinese è pugliese e, non a caso, Bari e il Salento sono le due realtà più attive del Mezzogiorno. Le regioni del Sud, ad eccezione della Puglia, si caratterizzano per una discreta quantità di proposte, ma con scarso successo.

Agli oltre 37mila eventi social eating organizzati nel 2014 hanno partecipato circa 300 mila persone. La spesa media stimata è di 23,70 euro pro-capite. La Lombardia ha registrato il 24,6% degli ospiti. Seguono il Lazio (18,6%), Piemonte (15,8%) e Puglia (8,4%). Marginali le adesioni registrate nelle regioni del Sud, con quote in molti casi inferiori al 2%.

L’incasso medio stimato per singolo evento è pari a 194,00 euro. In Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Puglia e Basilicata l’incasso è spesso superiore ai 200,00 euro. Viceversa, in Valle d’Aosta, Molise, Calabria e Sicilia l’incasso medio non supera i 150,00 euro. Ogni cook incassa in media 1.002,51 euro all’anno. La Lombardia si conferma ancora una volta al vertice con un incasso medio annuo pari a 1.203,91 euro. Risultati sopra la media anche nel Lazio (1.174,54 euro) ed in Piemonte (1.088,44 euro). Puglia e Basilicata sono in linea con i dati nazionali, mentre sono sotto la media Trentino A.A., Friuli V.G., Molise, Calabria e Sicilia con incassi annui inferiori ai 600,00 euro.

Le stime confermano, dunque, il primato della Lombardia, con una quota di circa 1,9 milioni di euro di fatturato, pari a oltre un quarto del fatturato totale. Introiti oltre il milione di euro si registrano anche nel Lazio (1,4 milioni) ed in Piemonte (1,1 mln). Tra le regioni del Mezzogiorno, è sempre la Puglia a conseguire i risultati migliori, con 649 mila euro di fatturato medio annuo.

Come inquadrare correttamente, alla luce di questi dati, il fenomeno delle nuove frontiere del gusto, dell’home restaurant e del social eating? Si tratta ancora solo di una semplice moda, di una passione per aspiranti chef, di un semplice hobby, di un momento per socializzare?

Secondo il presidente di Fiepet Confesercenti Esmeralda Giampaoli «il fenomeno ha perso il suo carattere amatoriale assumendo sempre più un approccio imprenditoriale. L’home restaurant ed il social eating sono un legittimo fenomeno di mercato, ma occorre tracciare una linea di demarcazione chiara e netta tra ciò che definiamo sharing economy e ciò che invece è attività imprenditoriale a tutti gli effetti. Da quanto emerge da un sondaggio condotto da SWG per Fiepet sui ristoratori, 9 imprenditori su 10 chiedono più regole, mentre 8 su 10 ritengono che allo stato attuale gli home restaurant sono una forma di concorrenza sleale per la ristorazione regolare, che investe tempo e denaro per avere requisiti e certificazioni richiesti per legge, a partire da quelle igienico-sanitarie, per tutelare la salute e la sicurezza del consumatore. Le nuove tecnologie ed il web rappresentano una straordinaria opportunità ma senza regole adeguate si corre il rischio di spianare la strada ad una ristorazione parallela composta da un esercito di imprese irregolari che esercitano al di fuori di ogni norma e controllo. Per questo troviamo preoccupante che ci siano anche amministrazioni locali che danno supporto al fenomeno prima che si arrivi ad una regolamentazione chiara».


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