Irpef, a Milano i contribuenti più tartassati d'Italia
6 luglio 2024

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Irpef, a Milano i contribuenti più tartassati d’Italia


Sono i residenti della Città metropolitana di Milano i contribuenti Irpef più tartassati d’Italia. Nel 2022 hanno versato all’erario un’imposta media sui redditi delle persone fisiche pari a 8.527 euro. Seguono i soggetti Irpef di Roma con 7.092, di Monza-Brianza con 6.574, di Bolzano con 6.472 e di Bologna con 6.323. I meno ‘vessati’ del Paese, invece, sono i residenti della Sud Sardegna: sempre nel 2022 l’Irpef media pagata al fisco nella provincia sarda da ogni singolo contribuente è stata pari a 3.338 euro. Il dato medio nazionale, invece, si è attestato sui 5.381 euro. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia, che ha messo a punto la graduatoria per importo Irpef medio versato all’erario dai contribuenti italiani suddivisi per le 107 province presenti in Italia.

Un dato, fanno notare gli artigiani veneti, che va letto con attenzione: così come afferma il comma 2 dell’articolo 53 della Costituzione, il nostro sistema tributario è fondato sul criterio di progressività. Pertanto, i territori dove il prelievo Irpef medio è più importante sono anche quelli dove i livelli di reddito sono più elevati. Va altresì segnalato che, verosimilmente, dove si paga di più, la qualità e la quantità dei servizi erogati dalle Amministrazioni pubbliche di questi territori spesso sono di rango superiore rispetto a quelli somministrati nelle altre aree del Paese dove si pagano meno tasse. Insomma, a Milano, Roma, Monza, Bolzano, Bologna, Parma, è vero che il prelievo fiscale è più elevato, ma ciò è ascrivibile al fatto che in queste province la concentrazione dei contribuenti più abbienti è maggiore che nel resto del Paese. Inoltre, è utile ricordare che rispetto alla stragrande maggioranza delle altre realtà urbane, questi cittadini pagano di più, ma al contempo beneficiano di servizi pubblici (sanità, scuola, trasporti, cultura, tempo libero, etc.), che spesso presentano livelli di qualità non riscontrabili altrove.

I contribuenti Irpef presenti in Italia, ricorda la Cgia, sono poco più di 42 milioni, di cui 23,3 milioni dichiarano redditi da lavoro dipendente, 14,5 milioni dichiarano redditi da pensione, 1,6 milioni sono occupati come lavoratori autonomi e 1,6 milioni presentano altri redditi (affitti, terreni, rendite mobiliari, etc.). Nel 2022 l’importo medio nazionale di Irpef versato all’erario è stato pari a 5.381 euro. La percentuale di contribuenti che ha pagato meno della media nazionale si è attestata al 69 per cento. Questo vuol dire che in Italia quasi 7 contribuenti Irpef su 10 versano al fisco meno di 5.381 euro all’anno. L’area che presenta la percentuale più bassa, pari al 60 per cento, è la Provincia Autonoma di Bolzano. Seguono il Lazio con il 63 per cento, la Lombardia con il 64 per cento, la Valle d’Aosta con il 66 per cento e l’Emilia Romagna e la Liguria entrambe con il 67 per cento. Le regioni, invece, dove il tasso dei contribuenti meno abbienti è nettamente maggiore li scorgiamo in Calabria, dove il 78 per cento dei contribuenti paga meno della media nazionale, nella Provincia autonoma di Trento con l’80 per cento e nelle Marche con l’84 per cento.

Sempre nel 2022 le casse dello Stato hanno ricevuto 174,2 miliardi di euro di Irpef netta che, come dicevamo più sopra, ammonta a 5.381 euro per ogni contribuente. Questi 174,2 miliardi, ovviamente, sono “sottodimensionati” di almeno 20 miliardi euro di detrazioni Irpef previsti dalla legge (per spese mediche, tasse scolastiche, interessi passivi sul mutuo prima casa, bonus edilizi, etc.). Inoltre, a concorrere a ridurre il prelievo vi sono altri 28 miliardi di oneri deducibili Irpef (contributi previdenziali, contributi per la previdenza complementare, spese mediche per disabilità, assegno coniuge, etc.) che abbattono il reddito complessivo su cui, successivamente, si applica l’aliquota Irpef corrispondente. Tra le 107 province italiane monitorate dalla Cgia, Roma presenta il più alto numero di contribuenti Irpef: 2,9 milioni di persone di cui 1,7 milioni di lavoratori dipendenti, 904 mila pensionati, 107 mila lavoratori autonomi e 64.300 soggetti con redditi da partecipazione. Seguono Milano con 2,4 milioni, Torino e Napoli entrambe con 1,6, Brescia con 927.100, Bari con 828.500, Bergamo con quasi 823 mila e Bologna con 796.700.

Nonostante il peso delle tasse negli ultimi anni sia in calo, continuiamo ad avere un livello di pressione fiscale tra i più elevati in Ue. Nel 2023, infatti, solo la Francia, il Belgio, la Danimarca e l’Austria hanno registrato un peso fiscale superiore al nostro. Se a Parigi la pressione fiscale era al 45,8 per cento del Pil, a Bruxelles si è attestata al 45,3 per cento, a Copenaghen al 44,5 per cento e a Vienna al 42,9 per cento. Da noi, invece, ha toccato la soglia del 42,5 per cento. Tra i 27 dell’Ue, l’Italia si è “piazzata” al 5° posto. La Germania, invece, si è posizionata al 10° con una pressione fiscale del 40,6 per cento e la Spagna al 13° con il 37,8 per cento. La media dei Paesi europei è stata del 40,3 per cento; 2,2 punti in meno della media italiana.

Secondo quanto riportato nel Documento di Economia e Finanza 2024, quest’anno la pressione fiscale è stimata al 42,1 per cento del Pil, in diminuzione di 0,4 punti rispetto alla soglia toccata nel 2023. Questo risultato è ascrivibile al fatto che il Pil nominale è destinato a crescere (+3,7 per cento) più velocemente dell’incremento del gettito fiscale (+2,6 per cento). Pertanto, la pressione fiscale è attesa in diminuzione. Si ricorda, infatti, che la stessa è data dal rapporto tra il gettito fiscale e il Pil nominale.

L’incremento del gettito del 2,6 per cento rispetto al 2023 dipende da una pluralità di fattori: il primo è legato alla crescita economica (+1 per cento circa nel 2024); il secondo alla crescita delle retribuzioni, grazie ai rinnovi contrattuali, alla corresponsione degli arretrati nel pubblico impiego e all’aumento dell’occupazione. Più contenuto, invece, è l’impatto sulle entrate riconducibile agli inasprimenti fiscali previsti per quest’anno, come la maggiore tassazione sui tabacchi, l’incremento dell’Iva su alcuni prodotti per l’infanzia, l’igiene femminile e alle riaperture dei termini per la rivalutazione e il pagamento dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni.

Infine, hanno sicuramente condizionato il risultato finale anche le misure che nel 2024 hanno alleggerito il prelievo fiscale sugli italiani, come la riduzione dell’Irpef, tramite l’eliminazione del secondo scaglione di reddito (minor prelievo pari a circa 4,2 miliardi di euro) e il “bonus mamme”, con l’esonero contributivo per le lavoratrici dipendenti con due figli.


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