buona scuola
31 gennaio 2016

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La «Buona Scuola» è una legge non buona


Per migliorare la nostra Scuola era necessaria una approfondita riflessione sulle debolezze di sistema, per individuare risposte adeguate. Di urgente c’era la regolarizzazione dei rapporti di lavoro di migliaia di docenti che per anni (20-25) sono stati incaricati senza immetterli in ruolo, pur in presenza della disponibilità di organico. E senza darsene vanto.

Per il resto non c’è alcun merito per aver voluto imporre uno sconvolgimento debilitante di un sistema scolastico già impoverito dal turbinio di tagli e interventi improvvisati.
Sono prevalsi i desiderata di chi a tutti i costi ed in ogni settore della vita associata, amministrativa, istituzionale o no, si fa portatore di una visione utilitaristica e autoritaria, contorcendo regole di pura gestione e organizzazione a finalità di sistema.

La Legge n. 107/15 non è una legge di «Buona Scuola», non è una «riforma», nel corretto significato che il termine deve avere, ma una mescolanza di norme che, per come sono state imposte finiscono tutte, anche nelle parti in qualche misura condivisibili, ad assumere valenza antidemocratica e per certi aspetti «involutiva e reazionaria». Nei comportamenti e nei contenuti.
I più convinti fautori della legge, ed in particolare dell’art.1 commi 79-83, sui nuovi poteri ai dirigenti scolastici non sono pedagogisti, ispettori scolastici, direttori generali regionali o altri studiosi di istituzioni, ma economisti.

Come mai?
Perché siamo attraversati da decenni di crisi di ideali, ma ci accorgiamo solo di crisi economiche. Ogni discussione viene ricondotta al dato economico, nel quale l’essere individuo, persona, gruppo o società, nei comportamenti, viene commisurato rispetto ai moderni feticci della triade «efficacia-efficienza-economicità», in un bilancio di costo-beneficio materialmente riscontrabile.

La Scuola non si sottrae a questa moderna parametrazione. Il suo sistema di funzionamento di «istruzione-educazione», viene ricondotto ad una finalizzazione di «istruzione (educazione)-formazione», nella quale assumono valore assoluto le moderne competenze, sia che si parli di lavoro (professionalità) sia che si parli di comportamenti (cittadinanza).
Oggi non lo si vuole impegnato, il sistema scolastico, a corrispondere, come prima si imparava, a realizzare «educazione integrale» e/o «promozione della persona», nel rispetto dei principi costituzionali del diritto di ciascuno e di tutti ad esser «inclusi».

Dietro al moderno status di meritocrazia si accentuano le differenze, selezionando, andando alla ricerca di chi merita e di chi deve essere punito, lasciato indietro, al motto del «chi ce la fa ce la fa», da alcuni sempre invocato. Si introducono meccanismi di discrezionalità per chi deve riconoscere i meriti. Si invoca meritocrazia, si invoca valutazione e poi si prevedono norme dettate da compiacenze, opportunismi e qualunquismi.

Per valutare il «docente» si inventano comitati con dentro uno studente (di età?) ed un genitore (scelti da chi?). Varrà anche per i dirigenti scolastici, per gli ispettori e per i direttori generali? Intanto i direttori generali restano di «nomina politica», non vincono alcun concorso specifico, vengono «presi» sulla base di credenziali, referenze, conoscenze, relazioni e discrezionalità personale del Ministro e di chi governa, con o senza pressioni-raccomandazioni.

Perché tanti economisti si interessano della Scuola? Nel Libro Bianco di Delors troviamo una convincente risposta.
L’Europa non può svilupparsi fintanto che vaste masse di suoi cittadini, in vaste aree, restano analfabeti o diventano analfabeti di ritorno. Se si vuole sviluppo economico si devono possedere prima di tutto competenze, e anche valori di cittadinanza. In ogni dibattito si tirano fuori cifre statistiche e classifiche tenendo d’occhio in quale posizione si colloca un certo sistema scolastico.

Ecco, bisognava partire da qui per governare positivamente il processo di ammodernamento del nostro sistema scolastico: dalle carenze «sistemiche», dai ritardi riscontrabili e riscontarti da numerose indagini e certificazioni.
Quelle di Iea 2011 (Pirls e Tmss) Ocse-Pisa, Rapporto Unicef sulle povertà, Risultati prove Invalsi, Dossier sulla dispersione, Statistiche Istat su Università e Lavoro, Rapporto Svimez, eccetera, cosa ci dicono?
Tutte le indagini certificano carenze di sistema, diffuse in quasi tutte le regioni della penisola, ma più fortemente accentuate nelle regioni meridionali e nelle aree marginalizzate (periferie).
Carenze destinate ad aumentare, aumentando diseguaglianze e distacchi nei livelli di vita dei cittadini.

Tali carenze sono indicate:
1. Nelle competenze linguistiche (comprensione del testo e conoscenza di lingue straniere).
2. Nelle discipline logico-matematiche.
Tali carenze certificate segmento per segmento scolastico (Scuola Primaria, Secondaria di 1° e di 2° grado, Università) ci riconducono ad un quadro di assieme che vede nel nostro sistema scolastico punti di gravi ritardi organizzativi e di spesa pubblica, prima ancora che didattici e/o pedagogici-formativi.

Si enucleano schematicamente i punti dolenti:
• Asili nido assolutamente insufficienti (in interi territori del tutto inesistenti).
• Scuola dell’Infanzia (3-5 anni, età delicatissima) non obbligatoria.
• Scuola Primaria (6-11 anni) in crescente indebolimento. Perde quota passando dal terzo-quarto posto al 16°-18°.
• Scuola Secondaria di 1° grado (11-14 anni) si colloca al disotto della media.
• Scuola Secondaria di 2° grado si colloca in posizioni di retroguardia rispetto ai Paesi industrializzati e a quelli emergenti.
• Prove di valutazione per l’accertamento delle competenze acquisite, finali e/o di passaggio da segmento a segmento e di conclusione di ciclo, inadeguate o del tutto inesistenti.
• Prove Invalsi a livello nazionale, introdotte nella Primaria, nella Secondaria di 1° e di 2° grado, tanto importanti e valevoli per auto migliorarsi, quanto altrettanto malamente proposte dal Ministero e inopinatamente snobbate da parte del corpo docente e da comitati studenteschi.
• Sistema di formazione professionale affidato alle Regioni: poco funzionale quando non è occasione di malaffare.
• Sistema universitario drammaticamente al di sotto delle aspettative e della urgenza di formare «dottori» per le sfide future.
• Forme di organizzazione-gestione che vedono gli Organismi collegiali asfittici. Partecipazione scarsa o inesistente.
• Una sorta di diarchia, che spesso produce tensioni negli Istituti, nella gestione finanziaria a doppia responsabilità di un dirigente scolastico e di un direttore dei servizi generali e amministrativi.
• Un patrimonio di edilizia scolastica in generale vetusto, senza le rispondenze di agibilità e di sicurezza (più del 50% degli edifici), con pochi fortunati luoghi in cui sono presenti impianti per le attività motorie e sportive.
• Docenti con una retribuzione tra le più basse in Europa, con stipendi che sono la metà o quasi di quelli della Germania… tanto che l’attuale Presidente del Consiglio si diceva indignato per il maltrattamento e la mortificazione sociale, prima che professionale, riservata ai docenti italiani!
• Docenti con la più alta età media tra tutti i sistemi scolastici; condizione aggravata dalla cosiddetta Legge Fornero che ha allungato età e servizio.
• Ricercatori pagati a 1.200 euro al mese.
• Investimenti molto al di sotto degli altri Paesi europei industrializzati. L’Italia è collocata solo prima della Grecia per quantità di finanziamento per la Scuola pubblica, nel rapporto con il proprio Prodotto interno lordo.
• Dispersione e mortalità scolastica che va dal 14-15% di alcune aree del Sud al 35% di altre periferiche e marginalizzate. Con la conseguenza, rivelata come allarme anche sociale da Maurizio Ferrera in un editoriale del Corriere della Sera di giovedì 3 Settembre.
• Tra i Paesi industrializzati, l’Italia vive la drammatica contraddizione di avere percentualmente tra i 18-30 anni il più basso tasso di giovani diplomati e laureati ed il più alto tasso di disoccupati!

Ecco, dopo un quadro così fatto della realtà, vogliamo chiederci se questa della cosiddetta «Buona scuola» era la Legge che ci mancava per raddrizzare e migliorare il nostro sistema scolastico? Penso di no.
Temo non vi saranno benefici di rilievo, mentre vi sono già in atto sconvolgimenti negativi, che aggravano le disfunzioni.
Viene intaccato il principio stesso di libertà di insegnamento, esposto al rischio di dovere assecondare le «direttive» del dirigente di turno se si vuole la conferma del contratto.
Manca un vero sostegno per i soggetti meritevoli appartenenti alle fasce deboli per l’assenza/insufficienza di politiche di diritto allo studio. La Scuola viene più indirizzata, malamente, a premiare i meriti, che bisogna fare, rischiando di trovarsi a selezionare, escludendo.

La Costituzione vuole una Scuola di Tutti e per Tutti: che non è uno slogan, ma l’affermazione di un diritto sostanziale della persona-cittadino. Tanto sostanziale che, perché fosse esercitato, gli Stati moderni, lo hanno considerato indispensabile sia per il singolo individuo che per l’intera società, facendolo diventare un dovere e stabilendone l’obbligatorietà.
Consideriamo ora alcune problematiche per valutare se la Legge risponde alle richieste di superamento delle carenze individuate dai dati delle indagini.

1. Per quanto riguarda gli investimenti si inverte la tendenza dei tagli, ma con i pochi miliardi «triennalizzati», alla fine dei conti l’Italia non si troverà ad aver ridotto il gap nei confronti degli altri Stati nel settore istruzione. Resteremo sempre ultimi, e il gap aumenterà perché negli altri Stati si sta investendo di più.
Da noi anche le norme su tempi pieni, sulle scuole aperte di pomeriggio, sull’arricchimento dell’offerta, si devono realizzare nel «rispetto delle risorse precedentemente assegnate a normativa vigente». Cioè scarse, insufficienti anche per comprare la carta igienica e i gessetti (che con tutti gli osanna alle Tic restano indispensabili), aumenteranno, come sta avvenendo, le tassazioni e contribuzioni dirette/indirette delle famiglie.

Inoltre, le norme che affidano il miglioramento del sistema scolastico con l’arricchimento dell’offerta formativa (più orari, più diversificazione delle opportunità, eccetera) all’apporto di finanziamenti da parte dei privati, con l’incentivazione degli sgravi fiscali fino a 400 euro, sono rischiose.
Sono rischiose e ingiuste perché spostano risorse dal sistema pubblico dell’istruzione, (indebolendolo), che è per Tutti, al sistema cosiddetto paritario (rafforzandolo) che è comunque privato e per privati, e perché aggravano il differenziale tra i territori.

Si può immaginare che potrà essere migliorata, in generale, l’offerta formativa senza soldi in più per il personale docente per il personale Ata, la Segreteria, per le spese correnti di illuminazione, riscaldamento e di cancelleria e consumo? Con il fantomatico organico aggiuntivo dei 5-8 docenti in più ad Istituto? Mandati già a sostituire (come?) i docenti assenti dopo l’abolizione delle supplenze fino a 10 giorni?
Si sa che in tanti Comuni, e saranno sempre più numerosi, non si è più garantito il riscaldamento, né il servizio mensa, né quello del trasporto, né la gratuità dei libri, finanche nella Primaria? Si sa che in molti Istituti la giornata scolastica viene regolata sulla base della presenza-disponibilità dei collaboratori (ex bidelli) già ora numericamente insufficienti anche solo per tenere aperto?
Con i tagli ai Comuni, con la riduzione drastica e sconsiderata del personale Ata, senza una rapida inversione di tendenza, altro che Scuole sempre più aperte!

2. L’edilizia scolastica continuerà ad essere inadeguata e anche a rischio di pura e semplice agibilità per la sicurezza (oltre il 50% ci dice Legambiente).

3. Il personale docente continuerà a restare mal retribuito, e senza contratti migliorativi; il bonus di 500 euro per acquisti, formazione e iniziative culturali, risucchiato nelle polemiche e avvolto dalla eccitazione di vanteria dei governanti, sta apparendo come una sorta di questua in donazione pietistica a quei «morti di fame che sono gli insegnanti».

4. Tra i docenti, l’indice di invecchiamento, parecchio al di sopra della media europea, dopo la Legge 107 continuerà a restare tale, anzi si aggraverà, perché le assunzioni sono di persone con 20-30 anni di insegnamento alle spalle e per la «Fornero» dovranno restare fino a 67 anni.

5. Cifre irrisorie per politiche di contrasto alla dispersione, di incentivazione e tutela del diritto allo studio (libri, detassazioni, mense, alloggi, borse, ex-presalari) con buona pace dell’allarme lanciato da Maurizio Ferrera.

Eppure la Legge 107 ha trovato diversi sostenitori, anche entusiasti. Perché sono portatori di certe visioni e interessi sociali.
Tra gli altri, l’economista professore Michele Pellizzari, in un articolo riproposto da reportage n. 4/5 di Aprile-Maggio 2015 difende con entusiasmo l’impianto della Legge 107. Perché risolve l’annosa questione di rompere gli appiattimenti del personale, arrivando finalmente a regolare la premiazione, l’attribuzione del «merito».
Non sa, il Pellizzari, che da tempo la retribuzione complessiva dei docenti variava anno dopo anno a secondo delle attività extra svolte. Certo se non fosse quasi del tutto stato estinto il Fondo di istituto vi sarebbero potuti essere migliori e più differenziati compiti e riconoscimenti. (Sono mancati i fondi non le norme).

Egli ritiene che con i nuovi poteri assunti dal dirigente succederà che ci sarà la possibilità di chiamare-mandare-mettere (?) «il professore giusto nella Scuola giusta».
Nel suo intervento, il professore Michele Pellizzari sostiene che, non essendo i docenti tutti uguali, bravi, meritevoli e capaci di insegnare sol perché abilitati, è bene che tra di loro si possa scegliere e che lo possa fare il dirigente scolastico, magari coadiuvato da qualche collaboratore, ma sempre restando, egli, il solo responsabile della decisione.
Afferma che è un bene per il sistema che potrà funzionare meglio. Peccato che nessuno sia in grado di stabilire quale sia la «scuola giusta» e «il professore giusto» da mettervi.
E’ vero che non tutti i docenti sono uguali. Come per tutte le persone di tutte le categorie. E’ vero che il superamento di un concorso non garantisce che uno è un «buon docente». Ma allora bisogna ragionare sui meccanismi e sui processi di formazione, di reclutamento del personale, da migliorare, non sulle persone già considerate «abilitate».

E deve valere per tutti: docenti, dirigenti, ispettori e direttori regionali compresi. Perché se i direttori regionali vengono scelti dal Ministro, a cui rispondono e al quale devono garantire consensi e successi, allora egli pretenderà di scegliersi e collocare gli ispettori e i dirigenti, e i dirigenti pretenderanno di scegliersi i docenti per come hanno ottenuto.
Non tutti i dirigenti lo volevano perché i più consapevoli sanno di andare incontro a problemi con rischi reali non solo di contenziosi, ma di esposizione ad accuse di tipo penale.
Perché? Le normative sui nuovi poteri di nomina triennale, discrezionalmente esercitabili, oltre a danneggiare il clima collaborativo e di «comunità educante e formativa» quale deve essere la Scuola, introducono meccanismi operativi contraddittori.

Da una parte c’è l’aspirante docente iscritto in un ambito territoriale, che si è abilitato, che ha vinto un concorso, che possiede un punteggio acquisito e una collocazione in una graduatoria, che invia all’Istituto scolastico la richiesta di assunzione con il proprio curriculum:
• Non penso che i concorsi possano finire senza punteggi assegnati, con la collocazione dei candidati in ordine alfabetico, o tutti in «ex aequo».
• E così per gli iscritti nei futuri ambiti territoriali da cui il dirigente deve attingere: ci saranno graduatorie e rispettivi punteggi, o no?

Dall’altra parte c’è il dirigente che deve nominare un docente: (indicando prima (?) quale figura cerca, per quali insegnamenti e per quali funzioni, per quale carico orario e per quali classi, eccetera, dandone ampia informazione perché gli interessati aspiranti docenti possano inviare la richiesta corredata dal loro curriculum o no? O faranno il bando dopo aver ricevuto richieste e curriculum? Magari adattandoli?).
Chiediamoci: cosa può aggiungere un curriculum? Cosa ci può essere nel curriculum di diverso (e veritiero) che non sia stato già considerato, valutato e reso in punteggio corrispettivo, in termini di somma dei punti ottenuti nelle prove concorsuali, nelle esperienze svolte, negli impegni culturali-formativi riconosciuti con relativa collocazione nelle graduatorie sopra menzionate? Non può aggiungere niente.

Tranne le referenze (raccomandazioni-protezioni, le conoscenze dirette e/o indirette per cui il dirigente può fare la sua scelta non rispettando la collocazione per punteggi delle graduatorie, sentendosi rassicurato di assumere «il professore giusto» perché lo conosce, glielo hanno presentato, ne ha sentito parlare! Ah, può esperire un colloquio. Con quale modalità, se pubblico o privato, non è detto.
Il colloquio dovrebbe garantire l’insindacabilità che la scelta fatta è la migliore! Ma in che mondo vivono questi nostri ministri, sottosegretari e dirigenti di partito? In quale Nazione stanno gli illustri professori? Lo hanno visto come in questa società anche un giovane laureato al Politecnico di Milano con 110 e lode per trovare lavoro a 1.200 euro al mese ha avuto bisogno della telefonata di raccomandazione del suo potente padre?
Era il figlio del Ministro Lupi, costretto per questo alle dimissioni in un coro di indignazioni per la telefonata.

Veramente tutti ci dovremmo indignare, sì per la pratica diffusa della raccomandazione, ma ancor più per la drammatica e mortificante condizione in cui son costretti i giovani oggi, che, benché bravissimi, se non hanno protezioni restano disoccupati. Qui sta la generale e vera indecenza sociale.
Quindi il dirigente scolastico può nominare non quello che ha superato brillantemente le prove, ma quello che egli considera come «giusto» per la propria Scuola, esercitando un potere discrezionale del quale risponderebbe dopo tre anni, quando sarà valutato anche lui.
Da chi? Da ispettori? Da quel direttore generale di «nomina politica»?

Il professore Pellizzari si è chiesto intanto se i dirigenti, anche loro divenuti tali con gli stessi meccanismi concorsuali con cui sono stati reclutati i docenti, sono tutti in grado di scegliere i «professori giusti»? Giusti, non per sé, ma per la Scuola? No. Forse non se lo ha chiesto.
Tanto, per difendere la norma è sufficiente partire da una banalissima constatazione che «gli insegnanti non sono tutti uguali». E i dirigenti lo sono? Ha valutato le conseguenze dello sconvolgimento che si produce in una comunità scolastica dove si avvierà una degradante maniera di essere docente «scelto» o no?

Ci sarà la rincorsa dei dirigenti ad accaparrarsi o a «sistemare» quei docenti considerati «giusti» per la propria Scuola a dispregio dei valori dei singoli professori aspiranti a nomina espressi dai punteggi ottenuti e pubblicati nelle graduatorie? Sarà una metodologia di assunzione diretta, quasi fossimo in un campionato con un simil mercato-calcistico, con professori più richiesti di altri, con Scuole con professori considerati «giusti» ed altri no? E chi non viene scelto?

Niente paura rassicura il Ministro: siccome il datore di lavoro è lo Stato-Ministero che lo ha immesso in ruolo e che non lo può licenziare, sarà incaricato d’ufficio. Come si sentirà? Con quale animo sarà docente (assieme ai colleghi) dopo aver visto che altri meno bravi di lui nelle prove affrontate insieme, pur ottenendo punteggi inferiori, sono stati nominati e lui no?
Non è così che potrà funzionare in meglio il sistema. Non è così che la Scuola potrà corrispondere ai principi della Costituzione. Non è così che potranno attenuarsi le diseguaglianze e le carenze né tra il nostro sistema e quello degli altri Stati avanzati, ma nemmeno tra regioni e regioni all’interno del nostro Stato.

Nella mia esperienza quarantennale di maestro elementare, di professore in Scuole secondarie di 1° e di 2° grado, di preside-dirigente scolastico, ho maturato il convincimento che ben altre misure sarebbero state necessarie per migliorare il sistema scolastico rendendolo funzionale e rispondente a superare le carenze certificate nelle indagini.
Ben altre norme per contrastare il drammatico impoverimento culturale e sociale, in termini di istruzione educazione-formazione, verso il quale stanno andando sempre più ampie fasce di popolazione, indicato dalle statistiche sugli abbandoni e dispersione crescenti.

Ben altre misure avrebbero dovuto urgentemente pretendere governanti che si auto collocano in una esperienza ministeriale di centro o centro-sinistra in cui sono presenti partiti che dovrebbero essere portatori e interpreti fattivi dei valori del cattolicesimo democratico, oltre che di quel patrimonio di ideali radicatosi storicamente a sinistra.
Invece li abbiamo sentiti miseramente argomentare, in difesa cocciuta delle norme sui poteri ai dirigenti, «…che così era ora di porre rimedio al lavativismo nelle Scuole». Che pochezza! Immiseriscono il loro ruolo. Non sanno che per combattere il lavativismo le norme c’erano già.
E’ che molti dirigenti, spesso i più solerti a chiedere più potere, non sempre decidono di esercitare le funzioni loro attribuite, o per pusillanimità, o per un malinteso quieto vivere, o per compiacenza.

Non si può pensare che tra i docenti ci sono i lavativi e tra i dirigenti no. D’altra parte ho sempre ascoltato e condiviso che per far funzionare al meglio, democraticamente, una comunità di persone in qualsivoglia attività, i suoi responsabili (dirigenti) più che potere e autorità hanno bisogno di «autorevolezza», che vuol dire stima umana e professionale.

Perciò, cari governanti e cari economisti, le carenze della Scuola si devono rimediare rispettando le finalità proprie di un sistema scolastico nel quale non si può chiedere di «educare alla legalità» dando al responsabile/dirigente la discrezionalità di scegliersi il personale docente al di là di criteri obiettivi, trasparenti e certi. Sono stato convinto che, nel quadro delle Istituzioni italiane, quella che stava reggendo meglio la sfida in tempi di crisi sociale e valoriale è stata la Scuola. La Scuola che, pur essendo schiaffeggiata da più parti, ha tenuto moralmente, rispetto al degrado in cui si sono avvolti i tanti comparti della nostra società.
Per il futuro non ne sono più certo.

La Legge della cosiddetta «Buona Scuola» (per me resta un titolo ingannevole da marketing) non solo non la fortificano, ma la espongono alla insidie delle cosiddette «leggi di mercato», che nella nostra Italia sanno tanto di pressioni e incursioni affaristiche, con o senza diretti e/o indiretti mandati/mandanti politici, e non solo.
Angelo Falbo
ex dirigente scolastico
(l’articolo del professore Falbo è stato pubblicato, in due parti, su reportage numeri 10/11 e 12 del 2015)


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