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12 ottobre 2016

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La Calabria e il melograno, il frutto antico del benessere


Il melograno, il cui nome deriva dal latino malum (mela) e granatum (con semi), è molto comune in Calabria e in tutto il Mediterraneo dove fu introdotto probabilmente dai Fenici, come dimostra l’altro nome del melograno che era malum punicum (mela punica, quindi proveniente dall’Africa settentrionale).

Il suo frutto, chiamato in dialetto granatu, fin dall’antichità è conosciuto per le sue proprietà terapeutiche: potente antiossidante, antibatterico, astringente e gastroprotettivo, è ricco di acido ellagico, potente antiossidante, e altri polifenoli, flavonoidi, fitoestrogeni, vitamina C e sali minerali come magnesio, zolfo, potassio, rame, fosforo e ferro.

Il melograno abbassa la pressione sanguigna, protegge dai raggi solari, rinforza le ossa, aiuta a contrastare i radicali liberi, protegge le cellule prevenendo il loro danneggiamento e rigenerandole, protegge reni e fegato da tossine nocive.

U granatu sia per la bellezza, con i suoi fiori e i suoi frutti autunnali pieni di semi rossi simili a pietre preziose, e sia per le sue molteplici proprietà medicamentose, è stato da sempre considerato sacro simbolo della vita e della fecondità.

Era conosciuto dagli Egizi e dai Fenici, in India e in Africa veniva usato per sconfiggere la sterilità così come nell’antica Grecia e Magna Grecia, dove era utilizzato anche come antinfiammatorio, antidiarroico e vermifugo e veniva consumato dalle donne e offerto alla Dea Madre nei riti dei misteri eleusini. Come simbolo di fertilità e di abbondanza si usava piantarlo davanti alle case e se ne mangiavano i frutti perchè portasse fortuna e abbondanza, tradizione ancora in uso in Calabria e nel Sud.

Le spose greche e romane indossavano corone con fiori di melograno ed era tradizione, rimasta ancor oggi in alcuni paesi del Mediterraneo, che le ragazze il giorno del matrimonio rompano un melograno e contino i semi che saltano fuori, i quali rappresentano i figli che avranno.

Il melograno è sacro in tutte le religioni: per gli ebrei perché contiene 613 semi, che sono il numero delle prescrizioni della Torah, per i musulmani è l’albero del paradiso, per i cristiani, a causa del colore rosso rubino dei semi, rappresenta il martirio di Cristo e quindi la vita che rinasce.

Già il buon Omero, molto prima del Carducci con il suo famoso albero a cui tendevi la pargoletta mano, parlava del melograno nel settimo libro dell’Odissea, quando Ulisse nella Terra dei Feaci (che era la Calabria e precisamente la zona di Tiriolo, secondo lo storico Armin Wolf) così descrive i giardini che ci circondano la reggia del re Alcinoo: «Alte vi crescon verdeggianti piante. Il pero e il melagrano e di vermigli poi carico il melo e col soave fico nettareo la canuta oliva».

Il melograno in Calabria inoltre è legato indissolubilmente al mito di Persefone (sempre raffigurata con un melograno nella mano), figlia di Demetra, dea della fertilità e dell’agricoltura, il cui culto era diffusissimo nella Calabria magnogreca. A lei e alla madre Demetra erano dedicati diversi templi e in loro onore venivano praticati i rituali dei Misteri Eleusini.

Leggenda vuole che Persefone, sottratta alla madre Demetra da Ade, fu portata nell’oltretomba, dove mangiando sei semi di melograno divenne una creatura di quel regno. Da quel momento la terra si desertificò, Demetra disperata cercò la figlia e quando la trovò, pretese da Ade che ritornasse nel suo mondo, anche solo per poco tempo. Da allora Persefone abitò sei mesi negli inferi e sei mesi sulla terra e la natura rifiorì con l’alternarsi delle stagioni.

Insomma, il melograno è bello, buono e fa bene. I suoi chicchi sgranati e conditi con succo di limone sono un ottimo e salutare contorno e si abbinano perfettamente ai dolci, ai piatti salati con frutta secca, cavoli e cereali, alle insalate e alle macedonie di stagione.

Il succo di melograno poi è un prezioso concentrato di benessere. Per estrarlo non c’è niente di più semplice, basta incidere la buccia del frutto (più o meno come si fa con le arance) rompendolo a metà e spremerlo con un normalissimo spremiagrumi.
Annamaria Persico


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