Insieme alla mitica pacchiana lametina, la fiera figura femminile di Nicastro e Sambiase di un tempo, è giusto ricordare anche ‘u picuraru, figura maschile di pastore o contadino, abbigliato con un costume tipico in uso dal 1600 circa fino a tutto l’Ottocento.

Il bellissimo costume della pacchiana lametina era famoso per l’originalissimo elemento della cuda, cioè la coda chiamata anche fadiglia, mentre quello del suo compagno picuraru era più semplice, ma si arricchiva con qualche particolare colorato come nastrini, bottoni e applicazioni varie, a seconda della fantasia e dell’indole del proprietario.

Il costume popolare maschile lametino era dunque composto principalmente da ‘i cazuni, pantaloni di velluto che arrivavano fino al ginocchio, e dalla cammisa, una camicia bianca a maniche lunghe con applicazioni di nastri colorati.

Di sopra si indossava il gilè, un gilet in velluto scuro con guarnizioni colorate. Particolarità di questo capo d’abbigliamento d’ ‘u picuraru era una grossa tasca a sacca sul davanti dove veniva conservato il pranzo, in genere pane e companatico.

Ai piedi si indossavano ‘i quazittuni, cioè calzettoni bianchi o rossi di lana di pecora filata a mano e lavorata ai ferri dalle donne di famiglia. Sopra di questi si calzavano ‘i purcini, delle rozze scarpe fatte con pelle di maiale (da qui il nome) o di capra e legate fino al ginocchio con lacci scuri sempre in pelle.

Sulla testa ‘i picurari portavano la cajola, un berretto piatto di media grandezza in panno scuro, e d’inverno per proteggersi dal freddo indossavano sulle spalle il mantello, in lana pesante a volte bordata di pelliccia.

Tutti gli accessori, come cinture, lacci o sacchetti portamonete erano fatti artigianalmente in pelle di capra e anche di maiale.
Annamaria Persico