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18 maggio 2020

Reportage BLOG

LE RANDAGIATE VERBALI di Daniela Fittante: «Non è tutto oro quel che luccica» (Seconda parte)


Alcuni cenni storici e di inquadramento parentale, amicale e dei Suoi coevi colleghi, ve li devo dare per far comprendere meglio come alcuni fatti della vita fanciullesca e adolescenziale possano segnare poi tutta una vita, durata ben 89 anni. Ovviamente saranno solo dei cenni, i più importanti, soprattutto ai fini della mia randagiata sulla bipolarità di Michelangelo.

Come direbbe Antonello Venditti, Michelangelo nasce sotto il segno dei Pesci nel 1475, secondogenito di 5 figli, in una nobile famiglia fiorentina ormai decaduta ed in cattive acque economiche. La madre, morta alla sola età di 23 anni (ed Egli ne aveva solo 6), era Francesca di Neri di Miniato del Sera, discendente, alla lontana, della ben più famosa e potente famiglia Ruccellai di Firenze.
Il papà Lodovico di Leonardo Buonarroti-Simone è stata una figura onnipresente ed ansiogena, in tutta la vita del Maestro, sempre in ristrettezze economiche e sempre sfruttando il figlio al quale non smise mai di chiedere soldi.

Insomma, nasce sto ragazzino e vien messo, nella deliziosa cittadina di Settingiano, a balia dalla figlia di uno scalpellino.
Quando si dice il …. Destino.
Il Michelangelo cresce così a base di “latte e polvere di marmo” in mezzo agli scalpellini più richiesti di Firenze. All’età di 12 anni, viene preso, nella bottega del famoso Ghirlandaio, come apprendista.
Secondo la versione dell’Ascanio Codivi, biografo ufficiale del Sommo, fu una scelta caparbia ed ostinata del Michelangelo contro la volontà del padre, mentre per il ben più attendibile Vasari, che narra, nelle Vite, di come il padre dell’Artista, ritrovandosi nell’indigenza totale, decise di mettere a frutto le capacità del piccolo, portandolo dal Ghirlandaio, in cambio di denaro, per apprendere il mestiere.
Come fu e come non fu, Michelangelo, che avrebbe dovuto restare a bottega per 3 anni, già dopo circa 2 se ne va e, sotto l’ala mecenatesca di Lorenzo il Magnifico, frequenta l’accademia degli artisti conosciuta come “il giardino di San Marco”.
In questo luogo, il Buonarroti, ebbe la possibilità, non solo di conoscere alcuni artisti e personaggi importanti dell’epoca (Poliziano, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, oltre a quelli che poi divennero Papi, Leone X e Clemente VII), ma di evolvere nella sua crescita culturale, mettendosi in evidenza con alcune opere già di gran valore artistico, tanto che la stessa famiglia dei Medici lo accolse in casa quale figlio adottivo, previo lavoro affidato al padre presso la dogana (ad ogni passo dell’Artista, corrisponde il padre a chieder soldi…)
Nel 1494, in una Firenze sottoposta a continui conflitti, in piena epoca del belligerante predicatore Savonarola, del quale il Michelangelo ne accoglie il pensiero (per utilitarismo?), il nostro, si trasferisce a prima a Venezia e poi a Bologna, poi ancora, dopo un anno, rientra a Firenze ed infine approda a Roma.
Non vi dirò nulla delle opere di questo periodo, ma dirò che ovunque si fece notare e lavorò con i maggiori artisti dell’epoca.
Nel cinquennio di permanenza a Roma (1495/1501), realizzò tra le altre opere, quella tra le più famose nel mondo, il suo primo capolavoro vero e proprio, La Pietà che realizzò in soli 2 anni.
Per la scultura, utilizzò per la prima volta il marmo di Carrara. Addirittura, recatosi personalmente alla cava, non si limitò all’acquisto del solo blocco necessario per la statua da realizzare, ma comprò vari altri blocchi, sempre in marmo carrarese che divenne poi il suo materiale preferito, con l’intento di realizzare in proprio delle sculture e poi venderle …. rivoluzionario ed anticonformista, il ragazzo (e sempre a caccia di soldi da dare al padre).
Egli, a soli 22 anni, era già consapevole delle sue grandi capacità artistiche, oserei dire che già quei tratti di “fase up” del bipolarismo cominciavano, proprio in quel periodo, a venir leggermente fuori.
Scrive Egli stesso, in versi, per far capire agli altri che era il blocco a parlargli, che all’interno c’era già l’opera e solo alla sensibilità ed all’intelletto di chi si accingeva a scolpirla, si mostrava prima ancora di toccarla:
“L’amante e lo scultore.
Non ha l’ottimo artista alcun concetto,
ch’un marmo solo in sé non circoscriva
col suo soverchio e solo a quello arriva
la mano che ubbidisce all’intelletto.”
Al suo rientro a Firenze Egli era già considerato tra gli artisti più capaci dell’epoca tanto che gli fu affidata l’esecuzione del famosissimo Davide, che realizzò in tre anni, per l’Opera del Duomo di Firenze, mettendo mani su un blocco già iniziato ad esser scolpito da Agostino Duccio e dal Rossellino ed a rischio di rottura o di cattiva realizzazione.
Ovviamente, ciò non fu e possiamo tutti riempirci, ancora oggi, gli occhi con quella bellezza che esalta la vigoria della gioventù, spavalda ed impavida ed aveva ancora solo 26 anni….
FINE PARTE SECONDA…


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