di Francesco Polopoli
«Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione»: direbbe così Guy Debord di fronte a tanti fenomeni da baraccone nella famiglia sempre più allargata del regno immateriale dei social.

Dietro la celebrità sa annidarsi in un bel posticino riservato una bella dose di mediocrità: occorre un po’ di spavalderia, infatti, e servire su un piatto appetibile millantate capacità. In tempo di saldi, anche a tagli di cultura, se ci si vende bene, è meglio! Ben consci che l’origine del conformismo risieda nella radice animale dell’essere umano, che attingerebbe le sue paure dalla solitudine fuori dal branco, invochiamo, alla pari del capro espiatorio per l’Ellade antica, qualche pecora nera come voce fuori dal coro.

Ci direbbe per l’appunto che la gratuità, che è la cifra della carta stampata, nella sua motivazione più intrinseca, quella etimologica, presenta una logica estranea al commercio. Anche un grande Maestro, che del Logos ne è Verbo, dicono che abbia scacciato a male parole tanti mercanti dal tempio: forse, laicizzando il tutto, ci è ricordato a chiare lettere che ci sono spazi di idee che è meglio non barattare con trenta denari, anche perché il dio trino e quattrino spesso non fa altro che desacralizzare la parte più bella della comunità, che è gregaria a patto che sia solo in comunione, amen!
Francesco Polopoli