Massimiliano Lepera
18 novembre 2020
Massimiliano Lepera

News

Lettera a Giuseppe Conte sulla scuola, la Calabria e il futuro dei docenti


di Massimiliano Le Pera
Egregio Presidente Giuseppe Conte,
scusandomi preventivamente per l’intrusione e il disturbo in un periodo per Lei così pieno e turbolento, ragion per cui approfitto per esprimerLe – senza troppa retorica – la mia più sentita stima per tutto ciò che fa ogni giorno per l’Italia, e per l’enorme professionalità e umiltà con cui lo fa, volevo condividere con Lei qualche piccola riflessione sulla scuola, chiedendoLe al contempo supporto e conforto, conscio di una Sua comprensiva risposta.

Sono ancora abbastanza giovane (29 anni), impegnato in prima linea nel mondo della scuola, come docente di latino e greco, già da sei anni, avendo intrapreso un percorso che ho sempre desiderato fortemente, sin dagli studi del Liceo Classico e poi dell’Università.
Vivo quotidianamente la realtà di una terra, la Calabria, che sicuramente non rende così semplice, per molti giovani, l’inserimento nel mondo lavorativo e, soprattutto, il mantenimento dello stesso, nonché la sua stabilità. Ma credo che, per chi veramente lo desidera con tutte le forze e ne possiede le capacità, si riescano a raggiungere, prima o poi, gli anelati obiettivi.

Dopo questa breve ma doverosa premessa, giungo al fulcro: il periodo attuale, che vede costretti milioni di studenti e docenti alla fatidica Didattica digitale integrata (la cosiddetta Didattica a distanza), ha fatto emergere in generale, purtroppo, le molteplici difficoltà (senz’altro di remota matrice) connesse al mondo dell’istruzione. E questa situazione diviene ancor più complessa allorché si consideri una netta stasi pregressa (di circa 6 anni) dei concorsi del mondo della scuola, atti all’inserimento definitivo di centinaia di migliaia di docenti, che da lungo tempo, spesso dietro le quinte e sotto la spada di Damocle del precariato, cercano di sopperire, con dedizione, professionalità e buona volontà, alle enormi falle del mondo scolastico implementatesi nel tempo (atteggiamento a dir poco lodevole, da parte di innumerevoli docenti, che oserei definire, quasi con un termine oggi purtroppo inflazionato, di pertinace “resilienza”).
Andando oltre le naturali difficoltà attuali, create dalla pandemia ancora in corso, con conseguente e ragionevole sospensione di tutti i concorsi che erano stati indetti per l’anno 2020, ciò su cui mi soffermo a riflettere, invece, riguarda i criteri e le modalità connesse agli stessi. Sono stati molteplici, nei mesi scorsi, i miei interventi su Orizzonte Scuola al riguardo, riflettendo sulle varie vicende connesse con il mondo della scuola, delle quali una, in particolare, ha suscitato la mia attenzione.
E’ stato un quesito che, a suo tempo, posi anche al Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina: come mai, all’interno dei criteri di selezione dei prerequisiti per la partecipazione al Concorso straordinario per il ruolo (indetto per i cosiddetti “precari storici”, ovvero coloro che alla data di iscrizione avevano già svolto 3 annualità di servizio) è stato posto un netto limite ai soli docenti delle scuole statali, senza considerare la scuola pubblica nella sua totalità? Mi spiego meglio: le scuole paritarie, che sono state parificate secondo la legge 62 del 2000, art. 1 comma 7, con la quale sono state riconosciute ufficialmente come scuole pubbliche non statali, sono scuole che, pur non essendo specificamente statali, a differenza di tutte le altre scuole private svolgono un servizio pubblico e sono inserite a tutti gli effetti nel sistema nazionale di istruzione. Per gli alunni, pertanto, la regolare frequenza della scuola paritaria costituisce assolvimento dell’obbligo di istruzione e di conseguenza il riconoscimento della parità garantisce l’equiparazione dei diritti e dei doveri degli studenti, le medesime modalità di svolgimento degli esami di Stato e l’abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi lo stesso valore.
E per i docenti? I docenti che hanno prestato servizio presso le scuole paritarie, spesso con grandi sacrifici, sottopagati o addirittura in maniera gratuita, quali garanzie e tutele hanno in questo periodo storico così delicato?
Secondo gli ultimi dati del Miur, in riferimento all’a.s. 2017/2018, le scuole paritarie in Italia sono oltre 12600, circa il 25% degli istituti scolastici del territorio, accogliendo altresì oltre il 10% degli allievi italiani. Un numero abbastanza rilevante. Migliaia di docenti, nel tempo, hanno insegnato agli albori della loro carriera (come il sottoscritto) presso gli istituti paritari, per fare esperienza ma soprattutto per accumulare titoli e punteggio atti alla successiva inclusione nelle graduatorie o all’ammissione ai concorsi per il ruolo. Cosa che adesso viene messa in dubbio. Oltre a tutte le precedenti prerogative delle scuole paritarie, molto importante è il fatto che esse possono rilasciare titoli di studio esattamente come le scuole statali, e della medesima validità. Quindi, non essendo valido per i docenti (ai fini del raggiungimento del ruolo) l’insegnamento nelle paritarie, di conseguenza dovrebbero essere annullati anche tutti i titoli di studio rilasciati agli studenti. La contraddizione si fa ancor più cogente qualora si consideri il fatto che molti dei docenti esclusi dal concorso per questo motivo, sono tuttavia presenti, anche grazie ai titoli e al punteggio acquisiti durante l’insegnamento presso le scuole paritarie, nelle graduatorie di III fascia (le attuali GPS di II fascia), le quali permettono di essere assunti alle dipendenze dello Stato – e dunque presso le scuole statali – senza alcuna riserva, ma semplicemente con il computo degli anni di servizio e dei titoli (dunque premiando il merito). Molti di questi docenti, ancora in pieno precariato, hanno contribuito dunque in questi anni (e stanno continuando a farlo anche ora) a mantenere in piedi il sistema scolastico italiano, siccome quest’ultimo spesso e volentieri attinge alle suddette graduatorie.
D’altra parte, per quanto concerne i criteri di selezione dei docenti partecipanti ai concorsi della scuola, data l’acquisita competenza e conoscenza dei contenuti delle singole discipline di insegnamento (per mezzo delle Lauree, che certificano appositamente ciò), nonché della conoscenza della lingua inglese (per mezzo degli appositi certificati rilasciati dagli enti ministeriali) e delle discipline antropo-psico-pedagogiche (per mezzo del conseguimento dei cosiddetti 24 CFU), non sarebbe più plausibile (e meno farraginoso e ridondante) offrire soltanto degli spunti di preparazione sulle modalità di insegnamento, connesse alla concreta messa in pratica per lo svolgimento di una lezione simulata? Prerogativa che, in maniera similare, era presente già nel Concorso per il ruolo del 2018 (un concorso che verificava quest’ultimo requisito, connesso alla valutazione dei certificati e dei titoli, nonché agli anni di esperienza e di servizio dei docenti candidati). Così, forse, validati e appurati già i titoli e l’esperienza, sarebbe valorizzato maggiormente il merito, non lasciando al caso, alla stanchezza e alla frustrazione di un concorso in cui “professori valutano professori” le sorti dei futuri docenti dell’Italia.
In conclusione, superando le molteplici polemiche di ambito politico e sindacale, ma focalizzandosi esclusivamente sul diritto all’istruzione per gli studenti e sul diritto al lavoro e alla stabilità economica per i docenti, non sarebbe possibile, alla luce di queste modeste ma sentite riflessioni che ho condiviso con Lei, rivedere i prerequisiti, i criteri e le modalità di selezione e partecipazione ai suddetti concorsi, approfittando di questo periodo di pausa obbligatoria?

La ringrazio sentitamente.
Distinti saluti.


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