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4 gennaio 2019

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L’imprenditore dell’economia circolare, un innovatore ‘solitario’


L’economia circolare offre ampi spazi alle imprese per ripensare il proprio modo di innovare e di competere e in questo percorso un ruolo decisivo lo possono dare le tecnologie ricomprese nell’ambito di Industria 4.0, dalla manifattura additiva all’Internet delle cose (IoT). L’imprenditore dell’economia circolare però è un innovatore “solitario” che crea sviluppo in sinergia con gli enti di ricerca, crea lavoro e nuove professionalità, senza godere di un adeguato sostegno economico, normativo e d’impresa.

A scattare la fotografia è l’indagine Opportunità di Business e di innovazione dell’economia circolare e l’industria 4.0 realizzata sulle prime 50 imprese tra le 231 identificate tra quelle manifatturiere che praticano l’economia circolare, da Dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’Università di Padova e Legambiente.

In particolare, dal rapporto emerge che il principale modello di business praticato è legato al recupero delle risorse (per 30 imprese, pari al 61,2%) o alla fornitura di input di natura circolare (15 imprese, 31,6%). Le principali motivazioni sono di natura etica e di responsabilità sociale d’impresa (89,6%) ovvero legate al mercato (aumento del valore del prodotto offerto, 81,2%), mentre il principale beneficio conseguito è legato al miglioramento della reputazione aziendale (86,6%).

Le imprese hanno investito soprattutto nelle attività di marketing e commerciali (61,7%) e nelle attività di ricerca e sviluppo e rinnovo del proprio portafoglio prodotti (47,9%). Il 52% delle imprese dichiara che l’occupazione è aumentata a seguito dell’adozione di pratiche di economia circolare, attraverso sia l’assunzione di nuove figure professionali tecniche sia l’aggiornamento delle risorse interne (tecniche e amministrativo/gestionali). L’investimento sul fronte dell’economia circolare è avvenuto in prevalenza con capitale proprio per l’80% delle imprese, attraverso la collaborazione con fornitori di materiali (57,8%) e università o centri di ricerca pubblici (48,9%), mentre risulta molto minoritario il ruolo di altri attori istituzionali (es. associazioni di categoria).

Le principali difficoltà non sono di natura tecnologica, quanto piuttosto legate ad una legislazione inadeguata o contraddittoria (48,9%) oppure connesse al prezzo dei prodotti “circolari” realizzati (48,9%), in cui il mercato spesso non è in grado di riconoscere, e quindi essere disposto a pagare, il reale valore, basato non solo su risorse che sono riutilizzate o riciclate (quindi apparentemente a basso costo), ma anche ad un vero e proprio processo di innovazione che ne sta alla base. Il 25% delle imprese investe in una o più tecnologie industria 4.0, prevalentemente per motivazioni di mercato (miglior servizio al cliente). L’impatto maggiore di tali tecnologie sul fronte ambientale riguarda la capacità di misurare e monitorare gli input utilizzati, grazie al ruolo giocato in particolare da soluzioni connesse a big data e cloud.(Fonte Legambiente)


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