Elisabetta Pozzi in "Cassandra" (foto di Giovanna Villella)
30 luglio 2023
Elisabetta Pozzi in "Cassandra" (foto di Giovanna Villella)

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LITWEB. «Elisabetta Pozzi in “Cassandra”» di Ippolita Luzzo


Lamezia Summertime, sabato 29 luglio con «TeatrOltre: il Teatro Ritrovato», ospite Elisabetta Pozzi con lo spettacolo «Cassandra o dell’inganno».

Siamo alle rovine dell’Abbazia Benedettina di Santa Maria, costruita nel 1062 da Roberto il Guiscardo, sui resti di un monastero bizantino dedicato a Sant’Eufemia, nei pressi della città di Terina, antica città greca.

“Da vecchie pietre costruzioni nuove, da vecchio legname nuovi fuochi”, T.S. Eliot, East Coker (secondo quartetto), primo tempo.

Inizia con Eliot Elisabetta Pozzi per darci il senso del tempo. Il senso del tempo ritrovato ”Il senso storico implica la percezione non solo del passato in quanto tale, ma della sua presenza… Questo senso storico, che è senso del non tempo come del tempo, e del non tempo e del tempo insieme, e ciò che rende un poeta cosciente, al più alto grado, del suo posto nel tempo, della sua stessa contemporaneità.” Dal saggio Tradizione e Individualità di Eliot.

Sul tempo e sui tempi che viviamo, Cassandra rivive in Elisabetta Pozzi portando tutti noi sulla barca che la porterà da Troia in fiamme a Micene, prigioniera di Agamennone. Elisabetta Pozzi a Micene alla Porta dei leoni vede Cassandra e con lei, anzi in lei, sale verso la collina, verso la reggia dove Clitennestra farà preparare i tappeti rossi per accogliere il marito. La tragedia si compie, il sangue e la morte, l’uccisione di Agamennone e di Cassandra per mano di Egisto, il testo di Euripide riecheggia presente, dal passato al futuro, come monito. A nulla vale conoscere il futuro se nessuno ti crede, se non si può intervenire per fermarlo, per correggere il corso degli eventi.

Nella visionaria e profetica Cassandra ci ritroviamo noi figli e abitanti di un secolo sciocco, noi abituati a credere scontato di essere padroni del mondo, di poter sovvertire le leggi della natura.

Elisabetta Pozzi dona voce a Cassandra e lei di nuovo ci avverte, con dolente intensità che lasceremo solo macerie e non rovine, che il nostro tempo sovvertendo il tempo circolare dei contadini ha introiettato un tempo del divenire, del progresso a qualsiasi costo, anche a costo della perdita della stessa individualità umana.

Le macerie e le rovine, la differenza fra la storia e la distruzione della storia, macerie senza storia saranno gli scarti che resteranno di questo presente, rovine sono invece i resti di un passato che ha resistito millenni conservando unicità e sacralità.

Visionario il testo di Elisabetta Pozzi, lavoro originale a partire dai testi di Christa Wolf, Wislawa Szymborska, Ghiannis Ritsos oltre che dai classici di Eschilo ed Euripide, da Eliot a Pasolini, suo è Alì dagli occhi azzurri, le grandi migrazioni in un Mediterraneo sempre più infelice, un mare di morti annegati e l’uomo ormai è “un minuscolo ragno al centro d’una immensa tela che si tesse ormai da sola e di cui è l’unico prigioniero”.

Il testo scritto con Massimo Fini, le coreografie di Alessio Romano, accompagnato dalle musiche originali di Daniele D’Angelo, attraversa le rovine dell’Abbazia benedettina raggiungendo ogni pietra con la voce, i gesti, la presenza immensa di Elisabetta Pozzi.

Guardavo il presente e nel presente rimane di questa estate Cassandra e la domanda “Come si può diventare così ciechi? Il futuro ha il suo seme nel passato…”  Un immenso grazie ad una interprete eccezionale, un’artista di grande umanità, una presenza nel tempo, nel tempo ritrovato, nella circolarità della rappresentazione umana.

Ippolita Luzzo

 

 

 


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