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12 novembre 2022

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LITWEB. «”Nota stonata” di Didier Caron: una piccola orchestra, il suono di Mozart e la ignobile guerra» di Ippolita Luzzo


«Nota stonata», pièce di Didier Caron di gran successo a Parigi, proposta in prima nazionale il 22 agosto al festival di Borgio Verezzi nel 2021 e premiato come migliore spettacolo, ora ritorna in prima nazionale a Catanzaro, Lamezia e Caulonia per AMA Calabria, associazione che dal 1978 promuove stagioni musicali e stagioni di prosa

Stasera a Lamezia, al Teatro Grandinetti, per me è l’occasione di incontrare Carlo Greco, già conosciuto sul set delLa Terra Senza, il film di Moni Ovadia con sceneggiatura di Anna Vinci.

Ci rivediamo e al chiuso del camerino, come al chiuso del camerino sarà poi lo spettacolo io rivolgo a Carlo alcune domande.

Carlo, come hai incontrato il testo e deciso di tradurlo?

Ero a Parigi in vacanza e sono stato attratto da un grande cartellone con due visi di uomini più o meno della mia età. Incuriosito decido di andare a vedere lo spettacolo. Cerco i biglietti, spiego che sono un attore italiano e che voglio vedere assolutamente lo spettacolo. Non vi sono posti, ma dietro mia insistenza mi danno due posti in alto nei palchetti e mi lascio irretire da uno spettacolo intrigante.

Chiedo subito il testo. Per fortuna l’autore del testo è anche il direttore artistico del teatro. Lui dopo aver cercato mie notizie su Google decide di darmi fiducia. Mi darà il testo e io lo traduco dal francese in italiano e poi vado alla SIAE per iscrivermi e per iscrivere il testo e decido che farò lo spettacolo. Il mio primo spettacolo con testo da me tradotto, il mio primo spettacolo come organizzatore, chiedo a Moni Ovadia la regia e scelgo Giuseppe Pambieri, lui mi sembra e lo è perfetto e fra un lockdown e un altro andiamo in scena. Da subito vinciamo un premio

Carlo mi chiede se voglio parlare con Giuseppe Pambieri e mi accompagna da lui e qui avviene il mio surreale dialogo con lui. Certo Carlo presentandomi gli ha detto che ho scritto cose molto belle sul film La terra senza, film di esordio alla regia di Moni Ovadia, con sceneggiatura di Anna Vinci, gli ha detto che sono una sua amica. Ed eccomi con Giuseppe che giustamente mi chiede se sono io la giornalista e io rispondo di no. Anzi aggiungo che non so chi io sia se non vagamente somigliante ad uno dei personaggi dello spettacolo di questa sera. Lui sorride mi risponde gentilissimo e io guardo la pistola sul tavolo e lui mi rassicura sull’uso in scena dell’arma  raccontandomi come abbia subito accettato la proposta di Carlo e come abbia trovato il testo perfetto e come ogni parola abbia un suo significato in una architettura perfetta del dialogo.

Di architettura parlerà Carlo ma Giuseppe uguale aveva detto nel senso che lo spettacolo iniziato in modo leggero e anche divertente si svolge poi aumentando la tensione fino alla svolgimento finale dove ogni parola trova il suo significato, la spiegazione.

Resto a teatro, arriva la stampa, arriva la televisione, ed io ascolto le risposte alle domande e faccio le foto alla stampa che raccoglie dei due attori il momento in cui sono pronti, sono concentrati e stanno per lasciare i loro nomi per diventare sulla scena altro, ma scelgo fra le tante foto questa nei saluti, questo momento di complicità e di scioglimento della tensione fra gli applausi del pubblico.

Nel risentirmi addosso la serata e nel rivedere la tematica che si svolge in un camerino mi chiedo come possano succedere nella storia degli uomini tante nefandezze e come ognuno poi rimuova gesti orribili per poter sopravvivere

“L’azione si svolge presso la Filarmonica di Ginevra, nel camerino del direttore d’orchestra di fama internazionale Hans Peter Miller. Alla fine di uno dei suoi concerti, nel camerino di Miller, si presenta uno spettatore, Léon Dinkel, dicendo di essere un grande ammiratore del maestro, venuto dal Belgio per applaudirlo. Più il colloquio, fra i due si prolunga più il comportamento di questo visitatore diventa strano e oppressivo. Chi é dunque questo inquietante Signor Dinkel?  Cosa vuole dal direttore Miller?”

I destini individuali si incrociano e si incontrano con i destini di tanti altri, e il destino di un singolo è la somma del suo accidentato passare insieme a tanti altri nella storia universale e i due uomini che apparentemente nulla hanno in comune sono entrambi vittime e carnefici di un orrore chiamato nazismo, chiamato olocausto, chiamato Shoah, chiamato dopo in qualche modo per non dimenticare l’orrore che viene perpetrato sia verso le vittime che verso i carnefici costretti a diventare carnefici per paura, per obbedienza, per debolezza.

Il senso del testo ci lascia nella triste e sconsolata consapevolezza dei conti da fare con il passato, della impossibilità di una redenzione dei difetti umani, e nell’urlo disperato del direttore Miller siamo tutti impietriti davanti alla possibilità di vivere tempi altrettanto pericolosi.

Non a caso lo spettacolo teatrale è stato proposto da  Rai Cultura  in prima Tv il 30 gennaio  su Rai5 nei giorni in cui si commemorano le vittime dell’Olocausto e ricorre il Giorno della memoria.

Ippolita Luzzo 

 


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