Non c’era esplosivo nel locale motore dell’elica di prua e nel garage sovrastante all’interno del Moby Prince, il traghetto della Nav.Ar.Ma andato a fuoco il 10 aprile 1991 di fronte al porto di Livorno dopo una collisione contro la petroliera Agip Abruzzo. Un disastro che causò la morte di 140 persone fra passeggeri ed equipaggio e il ferimento di una persona, il mozzo Alessio Bertrand, unico superstite della tragedia. Lo ha stabilito, a quanto apprende l’Adnkronos, l’analisi del colonnello dei carabinieri Adolfo Gregori, comandante della sezione chimica del Ris di Roma a cui la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause del disastro della nave Moby Prince ha recentemente affidato l’incarico di fare chiarezza su questo punto specifico che ha generato, nel corso di questi anni, tutta una serie di congetture fino ad ipotizzare un traffico di armi ed esplosivi a bordo del traghetto Moby Prince lasciando intravedere, addirittura, l’ombra di Cosa Nostra.
Gregori sta seguendo parallelamente, come perito, assieme all’esplosivista Danilo Coppe e al medico legale Stefano Buzzi – un trio collaudato che si è occupato, fra l’altro dell’ultima perizia sulla strage di Bologna – anche la Procura di Firenze nella nuova indagine aperta sulla Moby Prince. Che potrebbe riservare, a breve, nuove clamorose sorprese.
Le conclusioni dell’esperto del Ris contraddicono la precedente perizia esplosivistica depositata nel febbraio 1992 e svolta dall’ex agente del Sismi Alessandro Massari, incaricato dalla Procura di Livorno di analizzare i resti del traghetto. Nella perizia di Massari, che il 21 dicembre scorso venne anche audito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro della Moby confermando di aver diretto un laboratorio chimico dei Servizi segreti militari prima di passare alla Criminalpol, si parlava infatti di esplosivo, forse contenuto in una borsa, anche se non è stato possibile stabilire se esploso prima o dopo la sciagura.
La nuova perizia, firmata dal colonnello dei carabinieri del Ris Adolfo Gregori, che ha potuto utilizzare tecnologie innovative e strumentazioni più sofisticate ancora inesistenti all’epoca dell’analisi precedente, svela con certezza, grazie ad un’analisi sia qualitativa sia quantitativa, che sul traghetto non vi era alcun esplosivo e che quello trovato nel 1991 sui reperti analizzati dal perito Massari è frutto di “evidenti tracce di contaminazioni” esterne da cattiva conservazione. In definitiva i reperti – che non avevano inizialmente tracce di esplosivo – furono, poi, contaminati, secondo il Ris, portando erroneamente alla conclusione che vi fosse esplosivo sul traghetto.
Il materiale analizzato venne recuperato nel 1991 dai precedenti periti dal locale motore dell’elica di prua e dal garage sovrastante la Moby Prince. E comprendeva, fra l’altro, lembi di stoffa, frammenti di borse e valigie, pezzi di plastica e di legno, fili elettrici, bulloni e rondelle, lamierini, circuiti stampati e strati di vernici oltre a campionamenti recuperati da un camion che si trovava a bordo del traghetto. Tutto quel materiale, analizzato nei laboratori della polizia Scientifica della Criminalpol e dell’Enea dall’ex-007 militare su incarico della Procura di Livorno, restituì un quadro inquietante con la presenza, scrisse il perito Alessandro Massari, di vari tipi di esplosivi.
“I dati analitici ottenuti con le diverse tecniche – scriveva l’esperto nelle conclusioni della relazione consegnata nel febbraio del ‘92 – hanno permesso di identificare i seguenti composti: Nitrato di ammonio, etilenglicolenedinitrato, nitroglicerina, Dnt, Tnt, Pentrite e T4”. “I primi cinque – ricordava il perito della Procura di Livorno ai magistrati che gli avevano affidato l’incarico – sono tipici di composizioni esplosive ad uso ‘civile’ denominate come Gelatine-dinamiti, mentre gli ultimi due sono presenti soprattutto in esplosivi militari e in plastici da demolizione (Semtex H)”. Ma, aggiungeva Massari, “i sette componenti identificati potrebbero anche provenire da più di due miscele esplosive”.
“Resta comunque accertato che le sostanze identificate, con la sola eccezione del nitrato di ammonio, sono – avvertiva l’esperto – tutti esplosivi ad alto potenziale, sia singolarmente che in miscela”. “Le tracce di questi esplosivi erano presenti – concluse il perito indirizzando il suo ragionamento alla Procura di Livorno che procedeva per il reato di omicidio colposo – nel locale motore dell’elica di prua, anche se, essendo in quantità inferiori ai limiti strumentali, non è stato possibile accertare i singoli reperti che li contenevano”.
Una conclusione che il colonnello del Ris dei carabinieri, Adolfo Gregori, la cui perizia sarà presentata il prossimo 15 settembre assieme alla Relazione finale dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause del disastro della nave Moby Prince, contraddice e rigetta parlando, invece, di “contaminazioni” sulle quali, peraltro, si troverebbero d’accordo anche tutti gli altri periti dell’organismo parlamentare.
L’analisi chimico-esplosivistica contenuta nel rapporto di una quarantina di pagine consegnato dal colonnello Gregori sia alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Moby Prince sia alla Procura di Firenze che sta procedendo ad una nuova indagine con la Direzione Distrettuale Antimafia, ha accertato la presenza di “esplosivo da contaminazione” non solo su alcuni reperti prelevati dal locale motore dell’elica di prua e dal garage sovrastante ma perfino – ed è questo il punto – all’esterno degli stessi scatoloni e delle buste contenenti il materiale, fatto che lascia immaginare una non corretta repertazione e conservazione del materiale, evidentemente maneggiato da chi, in quei frangenti, era contaminato da esplosivo.
“Poteva capitare all’epoca, ma non dovrebbe proprio viste le conseguenze che si apportano all’indagine, che la repertazione, il trasporto o la conservazione vengano eseguite da personale che ha maneggiato in precedenza esplosivi, come può essere, ad esempio, un artificiere. E questo finisce per inquinare i reperti”, spiega un esperto ricostruendo le procedure.
Ma c’è anche un altro aspetto. L’analisi di Gregori ha trovato “esplosivo da contaminazione” anche su reperti, mai prima esaminati, ma recuperati nel 1991 in aree della Moby Prince piuttosto lontane tanto dal locale motore dell’elica di prua quanto dal garage sovrastante. Segno evidente, secondo il Ris, che il materiale recuperato è stato poi contaminato.