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16 febbraio 2018

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Open Calabria: «Il Mezzogiorno ha fame di investimenti»


Gli approfondimenti pubblicati in questa settimana da www.opencalabria.com ripropongono la centralità degli investimenti come fattore in grado di spiegare il declino dell’economia italiana e, in particolare, quella del Mezzogiorno.

I dati aggiornati proposti in Il calo del PIL in Italia: oltre gli investimenti pubblici da Giorgia Marinuzzi e Walter Tortorella (Fondazione IFIEL) evidenziano come in Italia la riduzione del PIL negli anni successivi alla crisi del 2007-2008 sia prevalentemente dovuta alla riduzione degli investimenti privati e pubblici.

Quelli privati si attestano nel 2015 attorno al 15,5% del PIL nazionale (circa 3 punti percentuali in meno del dato del 2008), mentre nelle regioni meridionali la perdita è più vistosa: dal 2008 al 2015 la quota degli investimenti privati sul PIL del Mezzogiorno si è ridotta di 6 punti percentuali, attestandosi a fine periodo al 13,5%.

Questa dinamica negativa degli investimenti è compensata in tutte le circoscrizioni territoriali dalla crescita delle esportazioni, mentre l’andamento dei consumi è diverso tra le diverse aree del paese.

L’incremento dei consumi privati osservato in Italia è trainato dalle regioni nel Centro-Nord (nel periodo 2008-2015 i consumi privati diminuiscono nel Mezzogiorno e in Calabria), mentre i consumi pubblici in media diminuiscono (a riguardo il caso calabrese è un’eccezione, poiché dalle elaborazioni proposte da Marinuzzi e Tortorella si osserva un incremento dei consumi pubblici regionali).

Infine, è utile osservare che il calo degli investimenti in Italia si contrappone con gli incrementi registrati in Europa dal 2005 al 2017 (+ 26% in Europa; -18% in Italia, tabella 1 qua).

La rilevanza delle dinamiche degli investimenti è sottolineata nei due saggi a firma di Adriano Giannola (SVIMEZ), secondo cui i timidi segnali di ripresa dell’economia meridionale del 2015 e del 2016 sono da ricondursi ad un «modesto incremento della spesa in conto capitale per investimenti pubblici realizzati nel Mezzogiorno nel 2015» prevalentemente legati all’accelerazione della spesa comunitaria di fine ciclo 2007-2013.

Seppure realizzata con il sotterfugio dei progetti coerenti che ne ha ridotto al minimo l’addizionalità, la spesa comunitaria «ha consentito anche una ripresa di investimenti privati sia nel 2015 e, soprattutto, nel 2016, confermando che al Sud gli investimenti pubblici attivano investimenti privati (concentrati nell’edilizia e in macchinari) a basso contenuto di importazioni e ad alto contenuto di lavoro, con effetti moltiplicativi relativamente più intensi e persistenti rispetto ai corrispondenti interventi nel Centro-Nord» (Giannola Adriano).

Da qui l’enfasi posta da Giannola alle «politiche attive dell’offerta centrate sugli investimenti» come strumento per «contrastare i processi di degrado in atto», da contrapporre alle politiche finalizzate «a gestire adattivamente la patologia del meridione con trasferimenti contributivi e assistenziali». L’ampliamento della capacità produttiva del Mezzogiorno è tale da giustificare la posizione di Giannola secondo cui “una redistribuzione degli investimenti pubblici verso il Mezzogiorno non è un gioco a somma zero per il Paese. (Giannola Adriano).

Una proposta per incrementare la spesa pubblica in investimenti nel Mezzogiorno d’Italia è tener conto della dimensione relativa delle regioni meridionali rispetto al paese. Poichè il Mezzogiorno pesa per il 34% sulla popolazione italiana, la spesa pubblica ordinaria in conto capitale a favore delle regioni del Sud dovrebbe essere redistribuita nella stessa proporzione.

La SVIMEZ ha stimato che se questa clausola del 34% fosse stata applicata nel periodo 2009-2015, «la redistribuzione, a risorse date, della spesa in conto capitale avrebbe ridotto al Sud la perdita cumulata di prodotto di oltre 5 punti percentuali, e le perdite di occupazione di 291000 unità rispetto alle 490000 effettive». Inoltre, a parità di risorse, nel Centro-Nord si sarebbero avuti risultati di segno opposto, ma «nel complesso nazionale, il prodotto avrebbe avuto un beneficio di 0,2 punti percentuali e un vantaggio occupazionale di oltre 185000 addetti».

L’implicazione dei risultati di questa simulazione è, a parere di Giannola, che «il criterio di equità distributiva, peraltro coerente al dettato costituzionale del citato comma V dell’articolo 119 della Costituzione, si dimostra ottemperare anche a criteri di efficienza ed efficacia della spesa. La destinazione al Sud migliora, infatti, grazie al più alto impatto macroeconomico non solo il ritorno sociale, ma anche sotto l’aspetto tecnico la convenienza relativa nella scelta degli investimenti».

Tuttavia, nel saggio Quali investimenti per il Mezzogiorno?, Antonio Aquino (Università della Calabria e co-fondatore di OpenCalabria) sostiene che «A parità di altre condizioni, l’adozione di questo principio (la clausola del 34%) comporterebbe un aumento di circa il 10% dei trasferimenti (residui fiscali) dal Centro-Nord verso il Mezzogiorno» e, quindi, l’economista calabrese dubita che non sia «politicamente realistico un simile aumento dei trasferimenti fiscali dal Nord verso il Sud dopo che i referendum del 22 ottobre 2017 hanno evidenziato in Lombardia e Veneto forti maggioranze a sostegno di una loro significativa riduzione».

Aquino, inoltre, ricorda che «già nella finanziaria del 2005 era stato stabilito di riservare al Mezzogiorno il 30% degli investimenti ordinari delle amministrazioni pubbliche centrali, ma neppure questo meno ambizioso obiettivo si riuscì a realizzare negli anni successivi».

Poiché non è politicamente sostenibile un incremento dei trasferimenti fiscali verso il Mezzogiorno, la proposta di Aquino è che le strategie di sviluppo del Mezzogiorno dovrebbero prevedere l’erogazione di sgravi fiscali a favore delle produzioni a domanda globale. «Si tratterebbe anche in questo caso di misure di stimolo agli investimenti nel Mezzogiorno, ma di natura diversa: non investimenti in strade, ponti, metropolitane eccetera, ma investimenti nell’acquisizione di capitale in attività produttive a mercato interazionale attraverso processi di learning by doing».
Francesco Aiello
Ordinario di Politica Economica Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza Giovanni Anania Università della Calabria


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