Sicilia: cimitero delle barche di Pozzallo. Credit Alessandro Rota Oxfam
18 febbraio 2018
Sicilia: cimitero delle barche di Pozzallo. Credit Alessandro Rota Oxfam

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Openpolis. I flussi migratori e i richiedenti asilo in Italia


In questi giorni di campagna elettorale il tema dell’immigrazione è spesso al centro del dibattito. Per questo vale la pena conoscere i dati che caratterizzano il fenomeno dei flussi migratori.

I primi sbarchi di massa provenienti dal nord Africa sono avvenuti nel 2011. Durante quell’anno in gran parte della regione le speranze che erano state riposte sulle primavere arabe vennero disattese, e in Libia la repressione di Gheddafi portò alla reazione della Nato e all’intervento militare occidentale.

Poi il flusso migratorio proveniente dal mediterraneo si è momentaneamente ridotto per raggiungere le dimensioni attuali nel 2014, quando sono sbarcate sulle coste italiane circa 170 mila persone. Da quel momento il numero di arrivi è rimasto più o meno stabile oscillando tra i 150 e i 180 mila negli anni successivi.

Bisogna tenere presente che di questi, in media il 10% sono minori non accompagnati. Lo scorso anno si è registrato un calo considerevole degli sbarchi ma non è detto che questa tendenza sia confermata nel 2018.

Il primo picco di arrivi è stato nel 2011, anno delle primavere arabe e dell’intervento militare in Libia. Poi nel 2014 il flusso si è attestato ai livelli attuali. Nel 2017 c’è stata una notevole riduzione degli arrivi ma bisognerà vedere nel prossimo anno se la tendenza sarà confermata.

Il governo ha comunque rivendicato il calo dei flussi e in particolare la riduzione del numero di morti in mare che in effetti sono passati da 4 mila 578 nel 2016 a 2 mila 856 nel 2017. Se messi a confronto con il numero di arrivi però, i dati sui morti in mare sulla rotta per l’Italia non sono altrettanto positivi.

Il tasso di mortalità infatti si è ridotto, ma in maniera non rilevante, passando dal 2,52% al 2,39%.

Questo dato conferma la rotta centrale del mediterraneo, come la più pericolosa al mondo. Inoltre il fatto che il numero di arrivi in Italia si sia ridotto non vuol dire affatto che si siano ridotte le partenze dai paesi di origine.

La maggior parte dei migranti che sbarcano in Italia provengono dall’Africa subsahariana. Solo una parte minoritaria invece proviene dai paesi del nord Africa.

Centinaia di migliaia di persone partite da questi paesi sono invece rimaste bloccate sulle coste libiche. Nel 2017 l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha contato circa 432 mila migranti presenti in Libia, altri ne stimano 700 mila.

In un rapporto di luglio dello stesso anno Oxfam, in collaborazione con Borderline Sicilia e Medu, ha diffuso i risultati di 158 interviste fatte a persone coinvolte nel fenomeno. Dal risultato è emerso che l’84% aveva subito trattamenti disumani, violenze e tortura. Il 74% ha invece riportato di aver assistito a omicidi e torture.

Anche per coloro che sono riusciti ad arrivare in Italia comunque, il viaggio non è affatto finito. Delle 77 mila e 500 domande di asilo esaminate quest’anno infatti solo il 40,2% è stata accolta. Molti cercano invece di oltrepassare i confini italiani per raggiungere altri paesi europei.

Il problema è che il regolamento di Dublino prevede che i richiedenti asilo facciano domanda nel primo paese europeo in cui arrivano. Questo meccanismo paradossale è stato definito nel 2003, quando non esistevano flussi di questa portata.

La commissione europea, nel settembre 2015, ha per la prima volta adottato una decisione volta ad alleggerire il carico sui paesi di arrivo. Da un punto di vista istituzionale il piano ha rappresentato una svolta per l’Unione.

Infatti per la prima volta il consiglio ha adottato una decisione su questa materia a maggioranza, impedendo quindi che singoli veti bloccassero il piano.

Nel complesso era previsto il ricollocamento di 50 mila 400 richiedenti asilo dalla Grecia e di 15 mila 600 dall’Italia. Una cifra piuttosto piccola considerati gli arrivi annuali ma che in ogni caso non si è riusciti a raggiungere (a fine gennaio erano state ricollocate meno di 12 mila persone dall’Italia).

Bisogna dire che alcuni paesi hanno fatto la loro parte, o anche di più. In Germania ad esempio sono stati ricollocati quasi 5 mila richiedenti asilo, quando il piano prevedeva inizialmente che ne accogliesse 4 mila.

La Francia al contrario si era impegnata ad accogliere circa 3 mila rifugiati, ma i ricollocamenti sono stati solo 486. I paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) sono stati quelli che più si sono opposti a questo tipo di politiche, votando tra peraltro contro (con l’eccezione della Polonia) quando il consiglio ha preso la decisione.
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