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1 ottobre 2020

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«Opera» a Reggio Calabria. Aiello (Circolo Agorà): «L’importanza della memoria storica»


Nella prima decade di settembre è stato inaugurato, sul lungomare della Città di Reggio Calabria, Opera, l’impianto dell’artista contemporaneo Edoardo Tresoldi, specializzato nella creazione di installazioni trasparenti.

Se la Città si arricchisce di questa “Opera”, si priva del suo rapporto con la natura, evita l’incontro con Morgana che ogni tanto e senza preavviso si affaccia sulle acque dello Stretto, con la maestosità dell’Etna. Questo nuovo status quo impedisce così di godere, in modo continuativo, tali pertinenze che rappresentano alcuni degli elementi caratteristici del nostro paesaggio, dove “le onde greche vanno a cercare quelle latine”.

La location di tale opera contemporanea, secondo il nostro modesto avviso, ma non siamo i soli a pensarlo, sacrifica sia il paesaggio che l’opera d’arte contemporanea. Alcune delle quarantasei colonne classicheggianti, che raggiungono gli otto metri di altezza, risultano troppo vicine tra di loro, nello specifico quelle ubicate nella parte nord, mentre altre sono confinanti con la parte del parapetto che caratterizza il nostro lungomare. Questi sono alcuni dei dati che emergono da una prima analisi fatta sia da semplici osservatori che da comuni mortali. L’impatto sia visivo che emotivo sarebbe stato diverso se la scelta della location fosse stata ubicata nella zona Meridionale, dove per una serie di circostanze di spazi, avrebbe avuto maggior respiro e visibilità. A tal proposito, l’installazione di tale opera sarebbe stata più logica posizionarla sul pianoro che si trova proprio nella zona Sud e per i motivi che brevemente indichiamo:
1) Perché darebbe la possibilità di essere visto nella sua completezza ,dalla terra, dal mare, dal cielo.

2) Perché l’opera avrebbe equilibrio tra spazio esterno e interno;
3) Darebbe la possibilità, allargando le colonne, di vedere il paesaggio – lo Stretto- dall’interno dell’opera;
4) Creerebbe un dialogo tra la cultura del passato “il tempio greco”, quella presente rappresentata dal materiale con cui l’opera è costruita e i visitatori portatori di culture passate e presenti.

Rispettando tali punti si sarebbe data continuità a quel percorso storico-culturale della nostra Reggio, dove, secondo le indicazioni dell’Oracolo di Delfi, «l’Apsias, il più sacro dei fiumi, si getta nel mare». Alcune imbarcazioni approdarono nei pressi del promontorio di Punta Calamizzi, mentre secondo altre tradizioni su quel pianoro vi era una struttura monumentale dedicata a Giocasto, figlio del dio Eolo, al quale viene attribuita la fondazione di Reggio. A questo punto giova rammentare che a Piazza Garibaldi, qualche anno fa, vennero alla luce interessanti testimonianze del passato, poi ricoperte da sabbia, forse per mancanza di fondi. Forse gli stessi fanno parte di quella scuola di pensiero che considera tali documenti archeologici come ruderi? Si sente sempre parlare di tutela della memoria storica e che un popolo privo del proprio passato è senza radici, priva di anima. Pertanto far passare per semplici manufatti vetusti opere che rivestono una notevole importanza del passato, appare fuori luogo e fuori ogni ratio cognitiva. I ruderi attualmente presenti in questa città sono dovuti alla miopia poco lungimirante di chi è preposto nella gestione della rex pubblica, disconoscendo, così, l’area narrativa delle leggende e delle storie di un glorioso passato che nel corso dei secoli hanno rapito l’immaginario collettivo.


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