Pallavolo, Lugli: "Ero incinta, trattata come una dopata"
10 marzo 2021

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Pallavolo, Lugli: “Ero incinta, trattata come una dopata”


(Adnkronos)

“Restare incinta è considerata una mancanza di professionalità. Come aver assunto cocaina e risultare poi positiva all’antidoping”. E’ quanto afferma la pallavolista Lara Lugli che in una intervista a ‘La Repubblica’ racconta la questione legale che la vede contrapposta al club in cui militava nella stagione 2018/2019 nel campionato di Serie B1: il volley Pordenone. Nel mese di marzo del 2019 ha comunicato al club la sua impossibilità di proseguire la stagione perché incinta, risolvendo dunque il contratto.


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A 38 anni Lara scopre di aspettare un bambino, è il marzo 2019. “Lo comunico alla società, e loro, come sempre accade in questi casi, interrompono il contratto. È proprio scritto così, è la prassi, per noi di Serie B1 ma anche per le categorie superiori – spiega -. Siamo dilettanti e non abbiamo tutele, nessuno strumento giuridico in mano. Se ti infortuni, e dipende anche dalla gravità dell’infortunio, il contratto viene onorato. Se annunci di aspettare un bambino, un minuto dopo c’è la rescissione. I rapporti con la società? Buoni, i migliori possibili. Li ho avvertiti subito, mi sembrava giusto farlo, è così che si fa”.

Un mese dopo Lugli perde il bambino. “Ad aprile. Dopo qualche tempo mi rifaccio viva, chiedendo l’ultima mensilità, quella di febbraio, il mese precedente alla scoperta della mia gravidanza, in cui avevo regolarmente giocato e mi ero sempre allenata. Là scatta la loro risposta. Una citazione in opposizione alla mia ingiunzione di pagamento. Con frasi impressionanti per crudezza e arretratezza”.

“La gravidanza non è stata cercata, ma anche se lo fosse stata, ciò non avrebbe fatto alcuna differenza. È incredibile che nel 2021 essere incinta debba essere considerata come una mancanza di professionalità, criminalizzata come l’assunzione di cocaina e la conseguente positività a un controllo antidoping. È incredibile che una donna venga umiliata in questo modo e anche i suoi dolori e dettagli molto privati della sua vicenda personale vengano usati. Il tutto per 2500 euro -spiega Lugli a cui, spiega Repubblica, il club ha scritto ‘Dopo l’aborto sarebbe potuta tornare in campo, allenarsi e andare almeno in panchina’-. Lasciando da parte le condizioni psicologiche in cui mi trovavo in quel momento, è una frase di un’ineleganza mostruosa. Ho provato vergogna, tristezza. E poi, ora, qualche giorno dopo la richiesta di danni, ho deciso di pubblicare la mia storia”.

“Ho avuto tanta paura. Paura degli haters, dei leoni da tastiera. C’è stato un caso simile al mio pochi mesi fa, quello di Carli Lloyd a Casalmaggiore, aggredita dai tifosi sul web per aver “danneggiato” la sua squadra. Avevo paura di suscitare reazioni senza senso. Ora sono più serena però”, spiega Lugli riguardo alla decisione di render pubblica la sua storia sui social.

Mi hanno chiamata “In tantissime, anche giocatrici molto importanti di Serie A1, e alcune di loro mi hanno raccontato esperienze di gravidanze evitate o di contratti rescissi brutalmente. Io ho provato, pubblicando la mia storia, ad accendere una luce sulla condizione dello sport dilettantistico in Italia. Mi ha fatto piacere la presa di posizione del sindacato pallavolisti, ora vorrei che si mettesse mano una buona volta a questo enorme problema dello sport al femminile. Si parla tanto di pari opportunità e poi una società ha il coltello dalla parte del manico in questi casi. Di fatto, costringe la donna a una scelta: o mamma, o atleta”. E sulla vertenza conclude. “Il 18 maggio io e la società ci confronteremo di fronte al Giudice di pace. Ma io sento di aver già vinto. Non è per i soldi che combatto, ma perché casi come il mio non accadano mai più”.


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