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22 aprile 2017

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Pane calabrese, il buon cibo che sfama anche l’anima. Come prepararlo in casa


‘U pani ‘i casa, il buon pane fatto in casa, è l’emblema della sacralità del cibo calabrese.

Il pane da noi non si butta, se cade si raccoglie da terra e si bacia, se per sbaglio si mette sulla tavola al contrario lo si gira e lo si bacia; durante le feste si fanno dei pani speciali in segno di devozione e si offrono in chiesa o ad amici e parenti.

La levatina, la magica pasta madre usata per fare ‘u pani ‘i casa, passava da donna a donna e ognuna di loro la curava per poi fare il pane per la propria famiglia; chi aveva un forno lo dava in uso alle donne che non l’avevano.

La tradizione vuole che sul pane messo a lievitare si faccia un taglio a forma di croce e a volte si mette dentro anche un rametto di ulivo benedetto. In molte zone della regione mentre si impasta il pane, si recita così: Crisci crisci pasta, cumu nostru Signuri ‘ntra la fascia.

La storia del pane è antichissima e tutta mediterranea. I primi panificatori della storia furono gli antichi Egizi, inventori del lievito e produttori di morbide e fragranti pagnotte di circa quindici tipi diversi quando nel resto del mondo il pane era sconosciuto.

Tanta era la loro passione per il pane che furono definiti già dai contemporanei mangiatori di pane, cibo che veniva tra l’altro inserito tra le vivande che i morti, faraoni compresi, portavano con se nell’oltre tomba.

Degni eredi degli Egizi però furono i Greci, che presto superarono i maestri, creando ben 72 tipi di pane diversi ed esportando la nobile arte in tutte le loro colonie, sempre legando a questo cibo tutta la religiosità legata alla Madre Terra, basti pensare al culto di Demetra raffigurata sempre tra spighe di grano e messi.

Da aggiungere che in Calabria l’arte della panificazione trovò e trova tuttora le condizioni ideali, dal clima che permette una lievitazione perfetta, alle materia prima, dalle farine all’acqua pura di sorgente fino al legno di ulivo che in genere si usa per i forni a legna in cui si usa tradizionalmente cuocere il pane. E anche in Calabria, come nell’antica Grecia, esistono moltissimi tipi di pane diverso uno più buono dell’altro.

Il pane calabrese dall’antichissimo retaggio magnogreco da allora porta con sé tutto il senso di identità e tradizione nel suo complesso simbolismo antropologico di socialità, condivisione e religione. Il pane era così rito collettivo e affettivo, il vero cibo che sfama anche l’anima…

Tutti i calabresi ne portano dentro per sempre il profumo e i ricordi. Per onorare la memoria degli avi e per ristorare il corpo e lo spirito, si può ripetere anche oggi l’antico rito della preparazione del pane, da fare in casa e a qualsiasi latitudine, con amore e dedizione.

Ed ora la ricetta base del vero pane calabrese
1 kg di farina di tipo 1 macinata a pietra, 600 grammi di acqua a 20 gradi, 200 grammi di lievito madre (in mancanza, un cubetto di lievito di birra), 20 grammi di sale.

Lavorate bene l’impasto con le mani, sia aperte che a pugno, con l’acqua, il lievito, aggiungete il sale per ultimo fino a ottenere un impasto omogeneo ed elastico. Lasciate riposare la pasta sul piano da lavoro per circa 30 minuti al riparo da correnti e coperta con un telo, meglio una coperta.

Dopo il riposo date la forma desiderata, a filone o rotonda, praticare il taglio centrale o a croce e fate lievitare fino al raddoppio del volume. Il pane necessita da 45 a 60 minuti circa di cottura e si può cuocere in forno elettrico a 230 gradi o su pietra refrattaria precedentemente preriscaldata per 10 minuti a 230 gradi e successivamente a 180 gradi. Se si dispone di un forno a legna, la temperatura dev’essere di 250 gradi.
Annamaria Persico


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