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25 gennaio 2020

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Per non dimenticare: il 26 gennaio Cosa Nostra uccise Mario Francese, giornalista del Giornale di Sicilia che per primo raccontò le storie indicibili della cupola


Il Coordinamento Nazionale Docenti della Disciplina dei Diritti Umani intende riportare alla memoria di tutti la figura di Mario Francese, straordinario giornalista siciliano che ha onorato il suo lavoro, la Sicilia e il Nostro Paese con il suo esempio.
Il 26 gennaio del 1979 Cosa Nostra uccise Mario Francese, cronista del Giornale di Sicilia, che con il suo impegno civile raccontò le storie indicibili di una terra divorata dalla Mafia. Mario Francese scriveva “ciò che per i mafiosi non doveva essere scritto e portato alla coscienza di tutti”, per tale ragione pagò con la vita quel voler andare sempre sino in fondo. Primo fra tutti svelò la frattura tra corleonesi e palermitani e descrisse lucidamente le strategie interne, politiche e territoriali della Mafia. Fu l’unico, inoltre, ad intervistare Antonietta Bagarella, futura moglie di Totò Riina, il boss delle più violente stragi terroristiche, e sorella di quello che sarebbe stato anni dopo il suo boia, Leoluca Bagarella.
“Che male c’è ad amare Totò Riina? Lo ritengo innocente!”, solo Francese riuscì a raccogliere le dichiarazioni di Antonietta Bagarella nei confronti del suo fidanzato. Già nel 1976 nei suoi articoli iniziò a ipotizzare che vi fosse un padrino di una nuova Mafia. Mille facce, mille nomi, paraventi di un’unica potentissima entità che tutto controllava, ancora una volta, ancora da Palermo.

Francese era cronista di giudiziaria, non si spaventava di fronte ai casi impossibili e ingarbugliati, lui era abituato a scavare a fondo, e scavando senza tregua arrivò a comprendere le gerarchie di Cosa Nostra. E comprese che la Mafia non operava più nel latifondo, ma contava nell’appoggio della classe politica e grazie a questo stava conquistando sempre più nuovi spazi, stava diventando sempre più potente e pericolosa. Il suo coraggio e il suo fiuto di cronista lo portarono ad occuparsi di casi importanti, e così nacquero gli articoli sulla Strage di Ciaculli, sull’omicidio del colonnello Giuseppe Russo, sulla ricostruzione della valle di Belice e della diga Garcia. Pubblicò un’inchiesta a puntate riguardante gli appalti della diga Garcia. Nei suoi articoli asciutti ed essenziali raccontò di uomini del disonore che spesso erano amici e soci d’affari della Palermo bene, di imprenditori e di prelati.
Articolo dopo articolo, inchiesta dopo inchiesta, Mario Francese iniziò a collezionare sempre più nemici, ma soprattutto iniziò a diventare un personaggio scomodo perché era abile, perché era esperto, perché raccontava la verità. E la Mafia preferiva la menzogna e il torbido alle verità che il nostro cronista, esempio raro di giornalismo investigativo in Sicilia, urlava senza paura dal suo pulpito.

E l’avrebbe urlata con forza, quell’ultima verità. Ma fu messo a tacere. Per sempre. Mentre stava preparando l’ennesimo dossier-scandalo sul rapporto Mafia-appalti, il 26 gennaio del 1979 il giornalista fu assassinato a colpi di pistola da Leoluca Bagarella, davanti casa sua. Da lì a poco avrebbe compiuto 54 anni.
La sua morte aprì la nefasta stagione dei cosiddetti “Delitti eccellenti”, una serie di omicidi mafiosi a ripetizione, tra i tanti quello del gennaio 1980 del presidente della Regione Piersanti Mattarella, seguito da tantissimi altri.
Solo nel 2001 si giunse alla fase ultima del “Processo Francese”. E così furono condannati per l’omicidio del giornalista, Totò Riina, Leoluca Bagarella, esecutore materiale del delitto, Michele Greco “u’ Papa” e Bernardo Provenzano.
Il CNDDU invita i colleghi docenti a ricordare ai nostri studenti la levatura morale di Mario Francese, giornalista come pochi che con dedizione assoluta, caparbietà e impegno etico civile ha svolto un lavoro straordinario per liberare la sua Terra dai soprusi e il malaffare diventando esempio per tanti giornalisti.
Sono passati 41 anni dal suo omicidio, ma l’esempio di Francese è più che mai attuale. E a noi piace ricordarlo come l’hanno descritto i suoi figli e chi l’ha conosciuto bene, e quindi, con le suole delle scarpe consumate, perché ne ha fatti di passi per rincorrere le notizie, con il taccuino affamato sempre in mano e il suo particolare saluto: “Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado!”.
No, Mario. Tu non vai via. Tu resti con noi! E i nostri giovani!
Prof.ssa Rosa Manco
CNDDU


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