Ma intanto, sin da quando la notizia della convocazione della cabina di regia inizia a girare, pungono le opposizioni, in testa Elly Schlein: “La presidente Meloni si assuma le sue responsabilità e venga a spiegarci in Parlamento perché non si è ancora visto un euro della terza tranche del Pnrr e perché rischia di slittare anche la quarta”. L’unico a tendere la mano è Carlo Calenda, che si offre di dare una mano.
“La proposta di modifica sarà inviata già oggi (ieri, ndr) alla Commissione europea e con un’informativa al Parlamento”, spiega Fitto al termine della riunione lampo -mezz’ora appena-, durante una conferenza stampa in cui traccia la ‘strategia’ del governo e mette in chiaro: “questo percorso” di revisione dei target “porterà alla richiesta dell’intera quarta rata, non immaginando un definanziamento“.
Tradotto: l’Italia non rinuncerà a un solo euro, come ama ripetere Meloni. Ma intanto si attende ancora che Bruxelles sblocchi la terza rata, che a Roma non è mai arrivata. Ed è proprio per “evitare lungaggini”, spiega Fitto, che sulla quarta tranche il governo tenta di giocare d’anticipo, apportando modifiche a obiettivi che rischiavano di finire nuovamente sotto la lente della Commissione europea. Con tutti i ritardi del caso e gli inevitabili contraccolpi per le finanze pubbliche.
Obiettivo, dunque, è evitare la replica del film già visto con la terza tranche, all’esame dell’Europa da ben 7 mesi. Se accadesse con la quarta rata, l”incasso’ sforerebbe al 2024 e le conseguenze per il bilancio di Stato sarebbero pesanti, con il rischio di un nuovo restyling, ma stavolta del calendario delle emissioni dei titoli di debito pubblico.
A Via XX Settembre lo sanno bene, tanto che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti non dissimula la preoccupazione. “Se la terza rata fosse entrata prima, sarebbe stato molto meglio – dice in una conferenza stampa in cui presenta la social card contro il ‘caro carrello’ – ma stiamo gestendo la situazione, confidando che questa benedetta rata venga somministrata”. Dunque, mette in chiaro: “credo che quello che sta avvenendo faccia emergere con consapevolezza che quelli che prendiamo dal Pnrr non sono tutti soldi regalati, in parte regalati”, ma “tutti gli altri sono debiti che dobbiamo gestire nel modo migliore”. Perché i dubbi sulla decisione del governo Conte di accaparrarsi quante più risorse possibili per uscire dalla palude in cui l’Italia era finita con la pandemia continuano a corrodere diverse frange del governo Meloni.
Intanto però si va avanti, con un ‘gioco di squadra’ che ha visto l’Italia confrontarsi con l’Ue per le modifiche da apportare, proprio per agevolare -e tagliare i tempi- del disco verde sulla quarta tranche, che Roma è la prima a richiedere in Europa. Le modifiche -illustra Fitto, puntando più volte il dito contro le presunte “fake news” che accompagnano il dibattito sul Pnrr- riguardano sei ministeri, ovvero Imprese e made in Italy, Infrastrutture e trasporti, Ambiente e sicurezza energetica, Istruzione, Cultura e Politiche di coesione.
Tra i target rimessi in discussione e modificati, figurano i nuovi studios di Cinecittà – proprio dove Mario Draghi accolse Ursula von der Leyen per annunciare in pompa magna il disco verde dell’Europa al Pnrr italiano-, le colonnine per le auto elettriche che stentano a decollare, il progetto sulla tecnologia satellitare e lo spazio, il rinnovo del parco ferroviario con i cosiddetti ‘treni puliti’ nonché gli immancabili asili nido, al centro di un dibattito che da sempre scalda maggioranza e opposizione.
Si tratta -numeri alla mano- di un restyling che tocca oltre un terzo degli obiettivi, e grazie al quale il governo spera da qui in futuro di oliare i meccanismi delle prossime verifiche europee: l’intesa su cosa non va per aggiudicarsi la quarta tranche del nostro Recovery plan -il ragionamento- stavolta è stata trovata prima, quindi per l’Ue il via libera dovrebbe trasformarsi in un mero atto formale. O comunque non ricalcare le lungaggini della terza rata.
Fitto è pronto a spiegarlo alle Camere il prossimo 18 luglio, data in cui è prevista la relazione semestrale del governo sul tema: “Penso di essere andato in Parlamento un numero di volte non paragonabile rispetto a quanto accaduto nei due anni precedenti”, rivendica togliendosi un sassolino dalla scarpa. Ma Schlein, e non solo lei, scandisce il nome di Meloni, chiedendo che sia lei a spiegare punto per punto cosa sta accadendo e se il Pnrr rischia di andare a fondo. Ma chi è vicino alla premier -in missione a Vilnius per il vertice Nato- dubita fortemente che sarà lei a fare il punto in Parlamento e taglia corto: “c’è la relazione semestrale con Fitto il 18 luglio, perché mai dovrebbe venire lei?”.