2018_giovani_emigrazione
14 novembre 2019

News

PSP: «QUADRO ALLARMANTE DELLA SITUAZIONE DELLE SCUOLE, DELLO SPOPOLAMENTO E DELLA MANCANZA DI LAVORO AL SUD. MA LA SOLUZIONE C’E’… »


Il fatto che ci sia un forte divario tra nord e sud, che negli anni aumenta, anziché diminuire, nonostante i buoni propositi dei governi di turno, è ormai un dato conclamato che pone importanti riflessioni
Nel 2018 lo denunciava persino la Svimez riferendosi agli anni precedenti. Un dato confermato anche nel rapporto del 2019: “Nel 2016, la percentuale di bambini tra zero e tre anni di età che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia, è nel Mezzogiorno del 5,4%, … il dato medio dei comuni del Centro-Nord è del 17%”.
Ci voleva la denuncia di una settantina di comuni del Sud contro l’applicazione perversa del federalismo fiscale, per sensibilizzare anche il governo, che ha annunciato che a cominciare dall’anno prossimo non vi saranno più zeri al Sud.
La scuola dell’infanzia “negata”, ossia una partenza sbagliata più pregiudicare anche il futuro funzionamento di un percorso di istruzione e formazione. Ed ecco che a conferma vi è un altro dato sconfortante rilevato sempre dalla Svimez:

“Un livello di scolarizzazione dei ragazzi meridionali compreso tra il 79,2% delle Regioni del Sud e il 73,3% nelle isole, a fronte di valori compresi tra l’82,9% del Nord-Ovest, l’85,3% del Nord-Est e l’85,2% nel Centro. Il Mezzogiorno presenta tassi di abbandono [scolastico] troppo elevati… Se, però, nel Centro-Nord il mancato proseguimento degli studi si accompagna a un numero più consistente di giovani occupati, nelle Regioni meridionali gli occupati usciti precocemente dagli studi sono una minoranza”.

Ed ecco inevitabilmente lo spopolamento delle regioni del Sud. Dall’inizio del 2000 sono partiti oltre due milioni di persone. Come se l’intera Calabria si fosse spopolata. Oltre il 68% dei cittadini italiani che nel 2017 ha lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord, aveva almeno un titolo di studio di secondo livello: diploma superiore il 37,1% e laurea il 30,1%.
Un altro dato di spopolamento è quello relativo alla emigrazione universitaria: “La SVIMEZ ha stimato che l’emigrazione studentesca determina una perdita complessiva annua di consumi pubblici e privati, sommando le minori risorse che vanno alle Università del Sud per la perdita di studenti e le spese private sostenute dalle famiglie per mantenere gli studenti fuori-sede, di circa 3 miliardi di euro.
Questo dato indica che negli ultimi dieci anni il Sud ha perso 200 mila laureati e circa 30 miliardi che le famiglie hanno di fatto investito per la formazione dei loro figli. Un doppio danno ovviamente per l’intero Sud!
Ma finalmente stanno emergendo anche altri dati che denunciano come al Sud finora lo Stato ha dato molto meno risorse per poter garantire sviluppo e posti di lavoro. Parliamo del famoso 34%, stabilito finalmente per legge, delle risorse dello stato che devono essere investite al Sud [in proporzione cioè al numero della popolazione], poiché finora mediamente si è investito al massimo il 28%. Uno squilibrio quantificato in decine e decine di miliardi di spesa pubblica in meno alle regioni del Sud. È chiaro che investendo di meno si ottiene di meno. In una simulazione dell’applicazione per 10 anni della clausola del 34%, fatta dalla Svimez si apprende che si sarebbero mantenuti circa 300mila posti di lavoro, ossia anziché la perdita di 500mila, se ne sarebbero persi solo 200mila.

Per invertire la tendenza occorre investire al Sud ed evitare lo spopolamento e favorire la crescita occupazionale. A cominciare dagli sili nido e dal tempo pieno nelle scuole. Creando e favorendo quindi una doppio canale lavorativo, sia degli occupati direttamente nelle strutture scolastiche (quindi insegnanti, personale educativo e ausiliario, imprese di pulizia) sia delle famiglie in favore maggiormente dell’occupazione femminile, che ricordiamolo è fra la più bassa in europa. Il 63,3% è la media UE, mentre al Sud si ha Basilicata, Puglia, Calabria, Campania e Sicilia nelle ultime sei con valori del tasso di occupazione intorno al 30-35%.
E così via anche agli altri ordini di scuola fino all’università. Se il Centro-Nord funziona meglio non è per migliore capacità delle popolazioni e degli amministratori, ma è per maggiore flusso di fondi. Ultimamente questi dati sono emersi e sono stati spiegati al “grande pubblico” televisivo dalla trasmissione Report del 4 novembre. Sistematicamente alle città del Sud è stato dato molto meno di quanto previsto dalla Costituzione. Molti milioni in meno per ogni comune. Ciò ha comportato minori servizi, minore qualità dei servizi e ovviamente minore occupazione e maggiore spopolamento. Facile capirlo. Il principio è quello della “perequazione”. Previsto dalla Costituzione a garanzia della uniformità dei servizi e dei diritti su tutto il territorio nazionale. Ma finora applicato solo in maniera distorta, in base ai “dati storici”, quindi se storicamente un comune ha avuto un servizio, continuerà ad averlo. Chi non lo ha avuto finora continuerà a non averlo.
Queste denunce come Partigiani della Scuola Pubblica le stiamo facendo ininterrottamente da quando il giornalista d’inchiesta Marco Esposito le ha messe nero su bianco.

Così come abbiamo denunciamo anche la precaria condizione in cui versa la maggior parte degli edifici scolastici del Sud. Apprendiamo che in Calabria 700 edifici scolastici su 2000 all’anagrafe dell’edilizia scolastica sono al centro di un ampio programma di interventi per la sicurezza. Un trend in positivo ed in crescita.
Rosella Cerra per i Partigiani della Scuola Pubblica


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