Renato Vallanzasca, mezzo secolo in carcere: chi è e perché è stato condannato a quattro ergastoli
13 settembre 2024

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Renato Vallanzasca, mezzo secolo in carcere: chi è e perché è stato condannato a quattro ergastoli


13 settembre 2024 | 16.35

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Rapine a mano armata, sequestri di persona e poi furti, risse, continui tentativi di evasione. Renato Vallanzasca è considerato uno dei più efferati criminali italiani, condannato, complessivamente, a quattro ergastoli e 295 anni di reclusione. La sua storia è raccontata nel libro autobiografico ‘Il fiore del male. Bandito a Milano’, scritto dallo stesso Vallanzasca con l’aiuto del giornalista Carlo Bonini, da cui è stato tratto nel 2010 il film di Michele Placido ‘Vallanzasca – Gli angeli del male’ in cui Kim Rossi Stuart interpreta il ruolo del protagonista.

L’infanzia

Nato a Milano il 4 maggio 1950, riceve il cognome materno ‘Vallanzasca’ dal momento che il padre Osvaldo Pistoia era sposato con un’altra donna e per la legge dell’epoca non poteva dare il proprio cognome a figli avuti fuori dal matrimonio.

Le attività criminali iniziano già in tenera età. A soli otto anni, con il fratello e un’amica, che più di cinquant’anni dopo diverrà sua moglie, Renato Vallanzasca cerca di far uscire dalle gabbie gli animali di un circo che aveva piantato il tendone proprio nelle vicinanze di casa sua: il giorno dopo la polizia lo porta al carcere minorile Cesare Beccaria. Subito dopo iniziano i furti e i taccheggi insieme ad altri ragazzini, fino alla costituzione della banda della Comasina, che diventa uno dei gruppi criminali più potenti di Milano.

Il primo arresto e l’evasione

Nel 1972 il primo arresto, insieme al fratello Roberto, per aver rapinato due supermercati. Renato Vallanzasca finisce in carcere, a San Vittore. Dovrebbe restarci per dieci anni, ma passerà recluso soltanto quattro anni durante i quali tenta costantemente di evadere. A cause di continue risse, pestaggi e sommosse cambia ben 36 penitenziari, da cui tenta ogni volta di scappare. Infine riesce a prendere volontariamente l’epatite, iniettandosi urine per via endovenosa, ingerendo uova marce e inalando gas propano: quando viene ricoverato in ospedale riesce finalmente a scappare.

Gli omicidi e i sequestri di persona

Durante la latitanza rimette insieme la banda e ricominciano le rapine a mano armata (circa 70) durante le quali diverse persone rimangono uccise. Poi iniziano i sequestri di persona, che in tutto saranno quattro. Nel 1977 Vallanzasca viene rintracciato e torna in prigione. Iniziano i rocamboleschi tentativi di evasione. Nel 1980 riesce a fuggire da San Vittore insieme a un gruppo di altri detenuti, tenendo in ostaggio il brigadiere Romano Saccoccio, ma dopo una sparatoria per le vie di Milano Vallanzasca viene ferito e catturato nuovamente. Nel 1987 riesce a fuggire dall’oblò del traghetto che da Genova avrebbe dovuto portarlo nel carcere di Nuoro, in Sardegna, e viene ritrovato solo qualche settimana dopo. Nel 1995 un nuovo tentativo di evasione dal carcere di Nuoro, per cui viene accusata la sua legale.

Le richieste di grazia e di libertà condizionale

Non gli è mai stata concessa la grazia nonostante le varie richieste sue e di sua madre al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Il 13 giugno 2014, durante il regime di semilibertà concessogli dal carcere di Bollate, tenta di taccheggiare un supermercato di Milano, viene arrestato dai carabinieri e processato per direttissima per il reato di rapina impropria. Negli anni successivi gli vengono negate a più riprese sia la libertà condizionale sia la semilibertà dai tribunali di competenza “per non essersi mai ravveduto, per non aver risarcito le vittime e per via del carattere intemperante”.

Perché ora può lasciare il carcere

L’ex boss ora verrà trasferito dal carcere di Bollate a una struttura assistenziale con differimento pena in regime di detenzione domiciliare. La decisione è stata presa dal tribunale di Sorveglianza di Milano che ha riconosciuto il decadimento cognitivo del detenuto, accogliendo l’istanza di differimento pena, presentata dagli avvocati Corrado Limentani e Paolo Muzzi, col parere favorevole della procura generale, che avevano indicato una struttura in provincia di Padova.


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