Occhi ridenti di un’esotica infanzia, generazioni femminili a confronto, scorci di megalopoli globalizzate che si ergono a simboli dell’ascesa veloce di nuove potenze finanziarie, situate però nella più immediata contiguità con arcaiche forme di organizzazioni socio-economiche semplici: sono alcuni degli scatti fotografici di Paolo Carnovale.
Scene di vita quotidiana, con soggetti prevalentemente femminili, raffigurazioni di antiche civiltà del mare, di popolazioni lontane eppure vicine, di pratiche di sussistenza come la pesca, che uno sguardo dal sapore antropologico ci propone, declinando la passione per l’arte –quella fotografica- nei termini di un’osservazione partecipante. Un’osservazione che sembra scaturire da intenso interesse e curiosità, dal viaggio come modus vivendi, dalla postura di una natura forse incline all’erranza, ma che al contempo si esprime nell’accostamento discreto, mai finalizzato all’esibizione del diverso in quanto tale: un uso, insomma, anche antropologicamente esplorativo dell’obbiettivo fotografico, da parte di una sensibilità che si spinge oltre la conoscenza dei confini consueti.
Le immagini che gli scatti di Carnovale ci regalano sono scorci di quotidianità, attimi di vita vissuta nel momento stesso del loro sorgere spontaneo -non solo nell’osservato ma anche in colui che osserva- che ci restituiscono uno spaccato di vita reale, senza i virtuosismi e gli infingimenti degli effetti speciali, al netto della pretesa di isolare – per mostrare e spettacolarizzare – consueti o anche inediti dettagli dell’esistenza dell’Altro.
Sono foto che ci raccontano, anche, il dissolversi delle coordinate spazio-temporali di un mondo globalizzato, senza per questo rinunciare a coglierne quelle differenze da riconoscere e valorizzare: piccoli gesti e semplici fatti di una microstoria umana universale, eppure incastonati come preziosi in delicati ecosistemi da trattare con cura, col loro carico di tradizioni e irrinunciabili differenze culturali, da preservare con determinazione.
Il racconto fotografico di Carnovale ci schiude altri mondi riportandoci al nostro, a ciò che ci accomuna e al contempo ci differenzia. Un contenitore di “comune umanità”; ed è quest’ultima a costituire uno scrigno per chi ancora guarda al futuro o, se si preferisce, la nostra preziosa cassetta degli attrezzi.
Un sentimento fatto di serena familiarità e comune appartenenza ad un’unica trama può affiancarsi, infatti, nel fruitore alla ricerca della cifra estetica: come una certezza della comune radice, della comune condizione di nomadismo esistenziale dell’uomo contemporaneo.
E allora anche gli indonesiani “zingari del mare” più volte ritratti prendono a rassomigliarci, in quella loro stessa precaria stanzialità, che ci àncora tutti al comune destino di un luogo e un quando indeterminati.
Queste ed altre suggestioni e riflessioni all’Ex Stac di Catanzaro in piazza Matteotti, suscitate dal »Reportage di viaggio» di Paolo Carnovale.
Diana Sirianni