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15 gennaio 2024

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Rispetto a «la scuola secondo Galli Della Loggia», scelgo «la scuola secondo Mattia»


di FIORE ISABELLA

Scelgo la scuola dal titolo evangelico non solo perché “La scuola secondo Mattia” è il racconto autobiografico del mio lungo viaggio quarantennale, da maestro, nell’universo della disabilità, la scelgo non tanto per contenere l’incidenza del pensiero sulla Scuola di Della Loggia,  affermato opinionista del Corriere della Sera, cosa per me, umile pensatore, assolutamente impossibile. Tuttavia, dal basso della mia marginalità, mi sia consentito di discettare, senza alcuna pretesa di imporre la mia verità, sui punti per me discutibili delle affermazioni di Della Loggia  sulla base della mia esperienza di maestro elementare.

“La scuola italiana è il regno della menzogna e finché resterà tale non potrà che peggiorare” scrive Della Loggia. Affermazione supportata, a suo dire, dalle pagine chiare e documentate del libro “Una scuola esigente” di Giorgio Ragazzini (Rubbettino), uno dei fondatori del “Gruppo di Firenze” , vedi caso precursore della scuola del “Merito” ( ma guarda un po’!) e della responsabilità.  Il prof. Della Loggia argomenta le sue posizioni richiamando con pregiudiziale fastidio il mito dell’inclusione, in ossequio al quale, dice lui, nelle aule italiane convivono allievi cosiddetti normali e disabili gravi con il loro insegnante personale di sostegno.

Il Della Loggia-pensiero, nel caso di specie, si esaurisce rilevando la presenza sempre più numerosa di ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una sola parola di Italiano. A proposito di quest’ultima veramente sconsiderata e poco pedagogica affermazione, rilevo che, a meno che il professore non li preferisca permanentemente con l’anello al naso, uno Stato con un tasso anche minimo di civiltà, deve metterli nelle condizioni di comunicare in un italiano comprensibile per migliorare la qualità delle relazioni nel lavoro  e nella vita.

A meno che qualcuno non intenda spedirli, cosa complicata anche per chi si giova di un corretto italiano parlato, sulle sponde dell’Arno, a risciacquare, si fa per dire, i loro “poveri cenci”. Per tornare al mito dell’inclusione tanto indigesto all’llustre professore, ho personalmente vissuto da maestro il fascino dell’integrazione scolastica, cercando di rompere, prima lavorando e poi scrivendo un libro, l’ideologia della normalità che, come scrive Raffaele Iosa nel suo bel libro “La scuola Mite”, non può essere “…la media entro cui sopra stanno i più bravi e sotto gli incapaci”.

Dare ad ognuno, dice Iosa, secondo i suoi bisogni e puntare per ognuno al massimo del proprio sviluppo è un ideale che implica una rigorosa rottura di tutti quei modelli, impliciti ed espliciti, che portano invece ad una normalità condivisa e ad una anormalità considerata patologica. Sono convinto, invece, che in un’aula scolastica, che non può non essere laboratorio di apprendimento  per i ragazzi che imparano e per chi impara ad imparare, il ruolo dell’insegnante cambia radicalmente: da educatore asettico a stratega di situazioni umane, cognitive e relazionali. Nel mio libro “La scuola secondo Mattia”, scritto per far far sopravvivere, dopo la troppo prematura morte, il mio alunno Down (Mattia), il mito dell’inclusione di cui parla il professore si è fatto storia e quante altre storie da raccontare ancora in una scuola come quella  Italiana che, grazie ad una legislazione sull’integrazione scolastica di alto profilo democratico, resiste da più di mezzo secolo alle nostalgie per le classi differenziali.

 Fiore Isabella


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